Due settimane fa sono stato messo
in crisi dalla rubrica Junior del Sole24Ore. Tutto per colpa di una semplice,
secca domanda: “Cosa succede al PIL se un signore sposa la propria cuoca?”. Fabrizio
Galimberti, autorevole giornalista economico (qui il pdf dell’articolo), spiega
ai ragazzi che il prodotto interno lordo diminuisce se un lavoro, prima
retribuito, diventa gratuito in quanto rientrante nella sfera delle mansioni casalinghe: “La ragione per cui il lavoro domestico svolto all’interno
della famiglia viene escluso dal PIL è solo pratica: perché non c’è né un
prezzo né un costo.” scrive Galimberti, continuando poi con un elenco di altri
esempi che non ha fatto altro che aumentare la mia confusione: “Questo non è il
solo ‘lavoro’ che viene escluso dal PIL. Anche tutta l’attività illegale, dai
furti alle rapine in banca allo spaccio della droga alla prostituzione, viene
esclusa dal calcolo del PIL. Anche qui per ragioni di convenienza: come si fa a
calcolare le sette camicie che deve sudare il rapinatore per organizzare il
colpo in banca?”. Leggendo queste frasi, la sensazione è stata quella di un vero
e proprio mindfuck (l’Urban
Dictionary descrive questa sensazione come: “il processo di stupro della propria
intelligenza, mai anticipato da una pre-lubrificazione”), perché da un lato pensavo
che il ragionamento avesse senso, e dall’altro ragionavo sulla diverse
definizioni di PIL senza tuttavia trovare alcun supporto alla tesi di
Galimberti.
Prendiamo per esempio lo schema
classico che i professori universitari utilizzano il primo giorno del corso di
macroeconomia e adattiamolo alla domanda che mi ha tanto turbato; per fare
questo, trasformeremo il nucleo familiare in una catena imprenditoriale con
valore aggiunto. Supponiamo infatti che la titolare di una casa di piacere assuma
un gigolò, che non sostiene alcun costo nel fornire il proprio servizio,
essendo vitto e alloggio inclusi nello stipendio, che vale, per semplicità, 100€
l’anno (non ho intenzione di dibattere su questo dato, né di effettuare un
indagine di mercato per rendere l’esempio più realistico). La matrona, grazie
al servizio di questo suo uomo del piacere, riesce a fatturare 500€ l’anno. In
uno scenario dove lo Stato non esiste, lo schema di creazione del valore
diventerebbe così:
Veniamo ora alla triplice definizione
di PIL, che può essere:
- il valore dei beni/servizi
finali prodotti: 500€ ottenuti dal bordello.
-il valore del valore aggiunto
generato: VA del gigolò + VA del bordello =(100€-0€)+(500€-100€)=500€
-il valore dei redditi generati
nel processo: Y gigolò + Y matrona = 100€+400€=500€
Supponiamo ora che la matrona
sposi il gigolò, il quale continua però a lavorare nel bordello (ipotesi
realistica, visto il numero di pornodive sposate). La casa di piacere continua a
guadagnare 500€, ma senza più alcun costo visto che la moglie non deve pagare
uno stipendio al marito. Ma per questo motivo il PIL diminuisce? No, rimane
invariato:
- il valore dei servizi finali
offerti è sempre 500€
- il valore aggiunto è sempre
500€, stavolta generato in un processo con un solo step (500€-0)
-il valore dei redditi generati
dal processo è sempre 500€ (al di là di come essi vengano distribuiti tra moglie
e marito).
Galimberti offre poi un’ulteriore
definizione di PIL, che poi non è altro che la solita formula della IS. Il PIL
è uguale alla somma di consumi e investimenti, e forte di questa addizione
sembra suggerire il seguente messaggio: “la matrona non consuma più per pagare
l’avvenente tronchetto della felicità, dunque il PIL diminuisce”. Peccato che anche in questo caso
il totem dell’amore penetri – senza carezze – tra i miei
neuroni, i quali ricordavano che ciò che non si consuma viene risparmiato, e ciò che si
risparmia diventa, per ipotesi, investimento (da cui l’acronimo “IS”), per cui
sotto certe assumptions è
indifferente quanto consumo o quanto risparmio: il PIL rimane uguale.
Data la semplicità di questi miei
ragionamenti, che non tengono conto delle prospettive future, dei valori
attesi, degli effetti sul mercato del lavoro né del livello dei prezzi, e
soprattutto tenendo conto della mia insipienza macroeconomica, sono rimasto per
giorni dubbioso sul fatto che fossi io a non capire, che fosse in qualche modo
colpa mia. Insomma, mi sono sentito come una ragazza che "è andata a cercarsele
vestendosi e truccandosi in modo così attraente, così da puttana". Per questo mi sono rivolto
alla comunità (dei miei lettori), ponendo il dilemma sulla pagina di facebook.
Le risposte pervenute sono state unanimi e confortanti:
David: “Dipende da cosa ne fai
dei soldi risparmiati per pagare la domestica. Se lavori di meno (perché hai
bisogno di meno soldi) allora, molto probabilmente, il PIL si abbasserà. Se,
invece, continuerai a lavorare lo stesso ammontare di ore, l'andamento del PIL
dipenderà da cosa farai con i soldi in più: se sposti denaro verso attività con
un più alto valore aggiunto delle faccende domestiche (e ce ne sono molti, la
quasi totalità) il PIL aumenterà. Tutto questo considerando i rapporti con
l'estero invariati.”
Francesco:“ Il PIL forse no, il
PNL sì (se la domestica non è italiana)! Ma la domanda seria è: che bevono al
Sole per farsi certe domande?”
Luca: “oh mio dio che coglioni, ma
non e' vero: che ci fa coi soldi che risparmia?”
Filippo: “Ha detto quasi tutto
quello che c'era da dire David. Si può parlare poi del fatto che, se lavori e
non paghi la colf, ma metti i soldi in banca, hai uno shift da C a I (ammesso e
non concesso che S=I). Ma di questo si è già parlato altrove [...] L'economostro
dovrebbe cambiare nome in
"Forse-dovevo-fare-scienze-della-comunicazione....-mostro". Oppure
l'Accountamonster, che è pure peggio.”
Se dunque la bellezza di una
poesia non può rientrare nel PIL (alla faccia di Bob Kennedy) non si capisce
perché non lo possa fare il lavoro domestico ma soprattutto, secondo
Galimberti, lo spaccio di droga (che è a tutti gli effetti un processo imprenditoriale
ed economico). A questo punto, l’unica ragione che mi viene in mente a supporto del giornalista è che i vari istituti di statistica non siano in grado o non vogliano deliberatamente
misurare anche l’effetto sui redditi dell’importazione, distribuzione e consumo
della cocaina. E’ perché il pusher o la prostituta non fatturano, né dichiarano
il proprio reddito, né comunicano ai mercati il nuovo maxi-investimento in una
raffineria d’oppio alle porte di Borgo Buzzone?
Possibile, ma a questo punto, se l’uomo sposa
la propria domestica e la matrona il proprio gigolò, a calare non è il PIL
esistente (per non dire “reale”, termine che confonde le idee) ma il PIL
misurato.
Dan Marinos
Invito chi ne sa più di me a
partecipare alla discussione. In particolare invito i miei ex-professori, se
mai avessi scritto stronzate, a non stracciarmi la laurea da poco conquistata. Inoltre,
se mai si dovesse istituire un processo, si sappia che sono disposto a rendere
noti alle autorità i cognomi di chi ha rilasciato le dichiarazioni sopra
pubblicate.
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