giovedì 27 settembre 2012

Patrimoniale o Confessionale?



Preferite le tasse sul reddito o quelle sul patrimonio? Volete difendere i vostri beni o siete a favore di una bella patrimoniale da far pagare ai riccastri? Qualunque sia la vostra scelta, sappiate che dalla Germania arriva una nuova imposta, quella sulla religione!

La Conferenza episcopale dei vescovi tedeschi si è resa conto di non riuscire più a mandare avanti il suo sistema assistenziale. Questa macchina si è alimentata dei soldi ricavati dalle donazioni e da una tassazione sui redditi imposta a chi, all’anagrafe, si dichiarava cattolico; in particolare si deve versare l’8%-9% aggiuntivo su quanto dovuto di base all’erario. La ragione di questa imposizione deriva dal fatto che due secoli fa lo Stato tedesco ha nazionalizzato i beni di proprietà della Chiesa, lasciandola dunque senza capitale ma tuttavia aiutandola a sopravvivere attraverso la fiscalità. Oggi, i vescovi tedeschi lamentano l’insufficienza di questa soluzione visto che molte pecorelle, con il barbatrucco di non specificare la propria fede all’anagrafe, continuano ad usufruire dei sacramenti senza pagare quanto dovuto; un po’ come guardare la tele senza pagare il canone. Per questo motivo han dato un bel giro di vite: d'ora in avanti, chi non fosse in regola con i pagamenti potrà scordarsi di ottenere la comunione, di sposarsi in Chiesa, di fare da padrino e pure di essere sepolto secondo il rito cattolico.

Mentre in Italia le forze laiche persistono nel voler timidamente riformare l’ora di religione, la Germania dà prova di essere avanti anche su questo tema. Se l’8xmille è un’imposta diretta, da pagare indipendentemente se si crede in Gesù o in Odino, la tedesca Kirchensteuer è una tassa speciale tramutata, con il recente decreto vescovile, in un vero e proprio prezzo per i servizi resi dalla Chiesa. E i prezzi sono tra i migliori sistemi per discernere e differenziare le persone, perché acquista e ottiene solo chi è disposto a pagare (senza contare che, in questo caso, il prezzo è legato al reddito e dunque non ostacola i poveri).

Ma c’è di più. La distinzione operata dal sistema-prezzo non solo concede a chi non è cattolico di non pagare per qualcosa in cui non crede o addirittura detesta, ma permette anche di avere un’idea statistica di quale sia la vera identità culturale di un Paese. In Italia, mi è stato fatto notare, l’ultimo censimento non chiedeva a quale confessione appartenessero le persone; dobbiamo quindi continuare ad ascoltare senza diritto di replica chi dice che viviamo in un paese al 90% cattolico (magari sulla sola base della percentuale di battezzati, senza distinguere chi si reca ancora a messa da chi è allergico all’incenso). In Germania invece bisogna dichiarare la propria fede all’anagrafe. In questo modo, per esempio, è stato possibile notare che nel 2010 ben 181.000 fedeli hanno abbandonato la religione cattolica.

In Italia il reddito medio dichiarato nel 2012 è stato di 19.250€. Al di là di detrazioni varie, significa un IRPEF pari a 4.600€. Se si dovesse applicare la Kirchensteuer, i presunti cattolici pagherebbero un ammontare aggiuntivo tra i 370 e i 410€. Se così fosse guarderemmo i finti-cattolici scappare verso paradisi fiscali neanche fossero magnati colpiti dalla patrimoniale!


Dan Marinos


Ps: la religione può davvero abbassarsi ad un sistema di prezzi, alla stregua di un banale e comune servizio? La risposta è sì: e per i primi 1000 abbonati verrà un sacerdote ad installarvi il crocefisso. Il comodato d’uso è GRATIS!




sabato 22 settembre 2012

Controllo sui rendiconti dei gruppi parlamentari: ma di cosa stiamo parlando?





Mi ero ripromesso di non scrivere per un po’ sui bilanci dei partiti, visto che la tesi l’ho finita e durante la sua stesura il blog ne ha risentito parecchio, venendo in parte trascurato e in parte monopolizzato dall’argomento. Poi però è accaduto qualcosa che mi ha fatto andare il sangue negli occhi ed eccomi qua a rinnegare quanto mi ero imposto.

Camera, stop ai controlli esterni sui bilancio, così titolava il Corriere quattro giorni fa. Leggendo la notizia, ho pensato in un primo momento di sacrificare me stesso a Montezuma, che il giorno prima avevo giusto giusto consegnato in maniera irrevocabile la mia tesi sull’audit esterno ai partiti. Poi, già col pugnale in mano, mi sono accorto che l’articolo faceva riferimento al bilancio dei gruppi parlamentari, che sono cosa ben diversa dai partiti. Purtroppo, proprio mentre mi accingevo a spegnere la sacra pira dove avrei dovuto lanciarmi per suggellare il sacrifizio, su internet e sui giornali divampavano altri roghi alimentati un po’ dal solito qualunquismo becero, un po’ dall’innocenza del non conoscere la normativa in materia (visto per esempio che della nuova legge 96/2012 quasi nessun giornale ne ha parlato). Risultato: il caos e la rabbia cieca hanno impedito di riflettere su quanto veniva proposto in Parlamento, e in particolare non sono stati analizzati adeguatamente due punti particolari: i soggetti coinvolti e l’esatto funzionamento degli strumenti di controllo tanto richiesti. Vediamo di chiarire le cose, cominciando dai primi.

I proiettili vaganti dell’indignazione han colpito due categorie di forze politiche: i partiti (divisi in sede nazionale e sezioni regionali) e i gruppi (parlamentari o regionali). I primi sono associazioni non riconosciute la cui contabilità è regolata da una legge ordinaria; l’ultima è la già citata 96/2012, che tra l’altro impone il controllo esterno sui bilanci delle sole sedi nazionali. I secondi invece sono elementi funzionali degli organi legislativi dello Stato, ovvero il Parlamento e il Consiglio regionale; generalmente rappresentano l’unione dei membri appartenenti al medesimo partito politico (definizione comunque non completamente corretta, vista l’esistenza del Gruppo Misto). Essendo parte del sistema legislativo, essi devono sottostare ai regolamenti dell’organo di appartenenza e non alle leggi “normali”, così come gli uffici interni di un’impresa si comportano nel rispetto delle regole aziendali. Esistono dunque differenze evidenti tra partiti e gruppi: da un lato ci sono enti autonomi determinati innanzitutto dal codice civile, dall’altro ci sono alcuni componenti di diritto pubblico che, assieme ad altre parti complementari (per esempio i Presidenti delle Camere, le Commissioni, le Segreterie, gli uscieri e i portaborse...), sono ritenute necessarie al funzionamento di un determinato organo statale.

Per quanto riguarda il secondo punto, ovvero la revisione contabile esterna, bisogna subito definire l’obbiettivo della stessa. Ebbene, NON è compito degli auditors quello di trovare le frodi né quello di evidenziare uno spreco di denaro. A loro spetta invece verificare che i bilanci siano stati scritti nel rispetto dei principi contabili stabiliti dalla legge. Da questo punto di vista, sarà già difficile effettuare controlli al massimo dell’efficienza sui bilanci dei partiti (o meglio, delle loro sedi nazionali), visto che i principi contabili loro imposti sono pochi e nient’affatto stringenti. I dubbi aumentano ancor di più riguardo al lavoro da svolgere sui rendiconti dei gruppi parlamentari, i cui principi contabili non esistono ancora e che, come per i partiti, non saranno dettati da enti professionali come l’OIC ma dagli Uffici di Presidenza delle Camere (art. 15-ter del potenziale nuovo regolamento).

La domanda principale è se sia davvero utile in questo caso il controllo esterno. E’ per esempio necessaria la presenza di un auditor affinché alcune parti della macchina statale non buttino nel cesso i soldi che sono stati dati loro per le loro attività caratteristiche? A mio parere no, perché se così fosse allora si dovrebbero applicare le stesse misure sui rendiconti di altri organi come la Presidenza della Repubblica, il Consiglio dei Ministri, la Corte dei Conti e il CSM. Si tenga in considerazione poi il fatto che i gruppi sono parte di un’istituzione, il Parlamento,  e che quindi sarebbe più sensato una revisione sul bilancio di quest’ultimo, così come l’audit viene fatto sulla totalità di un’azienda e non solo sull’ufficio riparazioni/ricambi.

Un’altra domanda importante è se i gruppi debbano ricevere soldi dal Parlamento o dalla Regione. Questo discorso esula dal dibattito tra finanziamento pubblico o privato, ma deriva dalla constatazione che per svolgere l’attività di competenza dei gruppi è probabile che bastino gli uffici, i servizi e il personale dipendente che gli organi statali rendono già loro disponibili gratuitamente. Se mai fosse necessario denaro liquido, dovrebbe a quel punto essere il partito di appartenenza a trasferire risorse, e non lo Stato. Ed è qui che serve il controllo esterno, che non può limitarsi alle sedi nazionali ma deve estendersi anche alle sezioni regionali, dove si annidano pericoli ben più gravi del peculato (come nel caso di Penati).

Dan Marinos   

lunedì 17 settembre 2012

La traversata del deserto (da sinistra a destra)




Io, Dan Marinos, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione della tesi, mi trovavo al mare, in pausa dalla parola della segreteria universitaria e della testimonianza resa al mio relatore. Rapito in estasi, nel giorno del Signore, udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese: a Efeso, a Smirne, a Pèrgamo, a Tiàtira, a Sardi, a Filadèlfia e a Laodicèa.» Ora, come mi voltai per vedere chi stesse elencando le famose ruote della lotteria ebraica, vidi che la spiaggia era divenuta un deserto tanto vasto che i miei occhi non ne vedevano la fine.

Spinto da un istinto che non comprendevo, cominciai a camminare verso una direzione ignota e dopo pochi passi notai che attorno a me era solo sabbia, e sopra di me solo cielo. Intimorito, ma ostinato, proseguii finché vidi una sagoma avvicinarsi alla mia sinistra. Mi fermai; era un uomo solo, seguito da numerosi fratelli suoi. Giuntomi vicino, mi disse: «Ecco, noi eravamo vicini al comunismo. Guardaci ora, che attraversiamo il deserto per congiungerci alla vera fede e sostenere lo scudo crociato in un progetto politico programmato al successo. Unisciti a noi, e sostieni Moro.» Io guardai negli occhi quell’uomo oramai lontano dal tempo e rifiutai. Il gruppo si allontanò verso le dune che portavano al monte Iri, e dopo poco scomparvero alla vista.

Proseguii per un tempo infinito, sempre senza sapere il perché del mio cammino. Giunsi in un’oasi, e qui incontrai me stesso, adolescente: «Ricordati dei tempi delle superiori» disse il mio Io teenager, «quando tutti ti davano del comunista solo perché l’alternativa era essere un giovane padano, fascistello o disinteressato. Tu non sei mai stato comunista, appellativo idiota creato dalle altre categorie, e tuttavia hai comunque appoggiato le battaglie etiche della sinistra italiana. Ricorda: la destra è cattolica e berlusconiana. Fermati e redimiti.». Io guardai i suoi capelli, lunghi, biondi e boccolosi, e la sua felpa che sembrava una tunica perché di una taglia settanta volte sette più grande del dovuto. Poi, quando credevo fosse arrivato il momento di sedermi e riposare, vidi in lontananza un uomo. Spinto dalla curiosità mi allontanai dall’oasi, sordo dei richiami di me stesso. 

Il personaggio indossava un vestito colorato costoso, e scarpe straniere del colore del vestito. Portava un berretto grigio sulle ventitré, sotto l'ascella aveva una canna nera, con un pomo nero a forma di testa di can barbone. Dimostrava una cinquantina d'anni. La bocca storta. I capelli erano scappati dalla testa per rifugiarsi, ispidi e terrorizzati, sulla mandibola. Pensai fosse un inglese, o al massimo un tedesco per via dei guanti che portava, nonostante il caldo. Socchiuse gli occhi e mi disse: «Non c’è bisogno di presentarsi, già mi conosci. Leggevi il mio blog quando votasti contro il referendum sull’acqua pubblica. Ascoltavi la mia voce alla radio e su youtube quando mostravo l’andamento del debito pubblico a seconda dei governi italiani. E settimana scorsa, al sondaggio telefonico, ha risposto che l’unica lista che – forse – voteresti è “Fermare il Declino”. Possiamo attraversare il deserto insieme, e giungeremo a destinazione in un attimo.».

La mia mano, da sola, si mossa verso la sua. Le dita quasi si toccavano, quando vidi il suo anello a forma di teschio indiamantato. Improvvisamente ci fu come un violento terremoto. Il sole divenne nero come sacco di crine, la luna diventò tutta simile al sangue, le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come quando un fico, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i fichi immaturi. Il cielo si ritirò come un volume che si arrotola e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto. Allora quattro grandi volti angelici apparvero dall’oscurità più totale, fissandomi con severità e disprezzo. Parlai per primo, affermando di aver visto la sagoma dell’uomo e che tutto quello che stava accadendo mi spaventava. Loro, schernendomi, dissero: «E’ solo un povero ragazzo, risparmiamogli la vita da questa mostruosità!» Li implorai di lasciarmi andare, che non m’importava più nulla, ma loro divennero ancora più furiosi urlarono con voci potenti come trombe: «Nel nome di Dio no! Non ti lasceremo andare!» Piansi, e mentre le lacrime quasi cadevano sulla sabbia dissi: «Vi prego, lasciatemi andare, è stato Belzebù a mettere quel demone al mio fianco!».

E la parola ormai sfinita si sciolse in pianto, ma la paura dalle labbra si raccolse negli occhi semichiusi nel gesto d'una quiete apparente. E io, piano, posai le dita all'orlo della mia fronte: quindi pensai che l’incubo era comunque meglio di Fassina al Ministero dello sviluppo economico.

Dan Marinos

lunedì 3 settembre 2012

PD: Poveri Dentro (ovvero della mancanza di regole contabili per i partiti)



Se il Partito Democratico fosse una società per azioni, osserveremmo i suoi azionisti pendere da una trave come i salumi del reparto gastronomia; sulla scrivania nessun messaggio d’addio, soltanto il bilancio 2011 dell’associazione guidata da Bersani. E’ stata forse registrata una perdita clamorosa? No, anzi, il conto economico chiude in utile di 5 mln rispetto alla perdita di 43 mln del 2010. La causa è invece da ricercare nello stato patrimoniale, dove l’attivo è passato da 184 mln ad appena 33 mln, un crollo di più dell’80%; specularmente il patrimonio netto è sceso da 125 a 25 mln e i debiti da 61 a 6 mln. Dove diavolo sono finiti quattro quinti di partito? Sarà mica che Berlusconi – top player sul mercato dei parlamentari – ha comprato Bersani, Fassina, Renzi e D’Alema? Oppure è stata qualche casa farmaceutica a fare un takeover sui rottama tori, per poi testarli sui linfonodi di qualche roditore? No no, niente di tutto ciò! Semplicemente sono spariti tutti i crediti che il PD vantava nei confronti dello Stato per i contributi elettorali.

PD: Poveri Dentro! potrebbe titolare un quotidiano come Libero. Le cose ovviamente non stanno così e il partito, nonostante questa incredibile liposuzione, non è sul lastrico. Semplicemente il tesoriere, Antonio Misiani, ha deciso di cambiare le regole di contabilizzazione dei contributi. Ha fatto bene? Ha fatto male? Vediamo un po’ cos’è successo.

Sappiamo tutti che i rimborsi per le spese elettorali non sono calcolati sulla base di quanto effettivamente speso ma sui voti ottenuti, per cui nelle casse delle formazioni politiche entra sempre più denaro di quanto ne esca effettivamente. Per questo motivo sembra che quello fornito dallo Stato sia un vero e proprio finanziamento (che il referendum del 93 aveva abrogato). Ad ogni modo, secondo la vecchia legge 157/1999, i pagamenti per i rimborsi elettorali – che il Parlamento versa a rate annuali  –  dovevano interrompersi qualora la legislatura fosse finita in anticipo. Questa norma, che puntava a contenere i trasferimenti ai partiti, era assurda da un punto di vista concettuale: trattandosi di rimborsi, non si capisce infatti il perché dell’interruzione visto che il partito ha già subito tutte le uscite per la campagna elettorale. L’apparente nonsense può essere compreso solo se – di nuovo –  si considera il contributo come un finanziamento all’attività operativa; in questo caso il blocco dei pagamenti ha ragione d’esistere nel momento in cui cessa tale attività, ovvero la presenza delle liste in Parlamento.

Poi, nel 2006, la svolta. Con la legge n.56 è stato deciso che i pagamenti dovevano continuare anche a legislazione finita in anticipo. Questo è stato fondamentale per il PD che, non esistendo fino al 2008 , è potuto crescere soprattutto grazie ai soldi che La Margherita e i DS incassavano per la quindicesima legislatura (2006-2008). Nei bilanci queste entrate (essendo riferite alla copertura delle spese per la campagna elettorale) venivano correttamente considerate di competenza del primo anno della legislatura e in contropartita si generava un credito (free-risk) nei confronti dello Stato. A furia di elezioni politiche, regionali ed europee lo stato patrimoniale del PD si è, naturalmente e giustificatamente, gonfiato a dismisura.

Nell’estate del 2011 è però stata ripristinata la condizione imposta dalla 157/1999, e il tesoriere del PD si è trovato davanti a un bivio. Da una parte mantenere il principio di competenza, e tuttavia accettare che i crediti  soffrano il rischio “scioglimento Camere”; siccome ad ogni previsione di perdita nell’attivo si associa un fondo di copertura, si pone quindi il problema di come valutare tale rischio. Chi decide quanto sia instabile una legislatura, il partito stesso? No, non è oggettivo. Un esperto (come gli avvocati che giudicano le possibilità di sconfitta in un processo)? Non esiste. Dall’altra parte, come scelto dal PD e da altri partiti, si può cancellare tutti i crediti e passare al primitivo principio di cassa (segnare nei ricavi solo la rata incassata), con conseguente sgonfiamento del bilancio e perdita di informazioni per il lettore.

Io non ho alcuna facoltà di indicare la scelta migliore, ma certi punti fondamentali appaiono ovvi. Nessuno legge il bilancio dei partiti per farci degli investimenti, né tantomeno per trarre conclusioni politiche e decidere chi votare (sarebbe comico se si votasse a seconda della performance reddituale o della solidità finanziaria). Ciò però non significa che questi documenti siano inutili, e che possano quindi essere redatti scegliendo a piacere tra una lista di principi contabili lunga come il campionario Pantone. E’ anzi la totale assenza di regole e, in generale, una normativa ricca di ridondanze e lacune che trasforma erroneamente il bilancio un manifesto politico e che permette di dire, parafrasando i dittonghi primordiali di un noto dirigente politico, “che i partiti possono buttare i soldi dello Stato fuori dalla finestra”.

Dan Marinos