lunedì 18 giugno 2012

Pucciare il biscotto (Sara Tommasi, la nazionale e la CSR)



Prendete un biscotto. Non importa quale: un golosissimo Pan di Stelle, un arido Oro Saiwa, un tristissimo Taralluccio o un Bucaneve molto vintage. Pucciatelo nel latte e distraetevi leggendo il giornale. Si spezzerà, e il disappunto sarà estremo.

Forse anche Sara Tommasi mangia biscotti per colazione prima di cominciare un’altra estenuante giornata. Fino a poco tempo fa la odiavo, la Tommasi; bocconiana e troia, e mi si concederà l’appellativo di bocconiana. All’inizio soffrivo vedendo il nome della mia università sputtanato da una poveraccia che si diletta nel denudarsi davanti ai bancomat nella speranza che qualche fotografo protragga la sua fama testimoniando il suo ennesimo, strategico delirio. Poi però mi sono posto qualche domanda circa la sua presunta ignoranza e la sua assenza di scrupoli. Mi sono chiesto, per esempio, quanto un bocconiano medio sappia di signoraggio bancario e quante persone che conosco (me compreso) siano in grado di rispondere senza errori – e senza macchie – alla diva tutta pelle e niente pelo. Risposta: pochissimi. Certo, il signoraggio bancario “non è in programma”, e Dio mi è testimone di quante volte mi sono compiaciuto di queste parole mentre eliminavo capitoli interi dai testi d’esame. Tuttavia ho come la sensazione di poter ottenere lo stesso imbarazzante silenzio anche di fronte agli argomenti inclusi nei syllabus.

Tranquilli, non sto sostenendo che la maggioranza dei laureati in Bocconi siano delle capre; primo perché lo stesso discorso vale per studenti di altre università e secondo perché ritengo legittimo non ricordare tutto ciò che viene insegnato. Ma con questa seconda conclusione non posso neppure dimostrare che Sara Tommasi, quella stupida puttana, sia davvero stupida. Il prossimo passo quindi è eliminare il significato negativo al termine “puttana”. Non c’è bisogno che vi spieghi qui la mia opinione secondo la quale la prostituzione dovrebbe essere equiparata ad un mestiere qualsiasi, e che uno col proprio corpo può fare quello che vuole, dal tatuarsi all’eutanasarsi (finché ciò avviene secondo la propria coscienza). Ciò che voglio invece analizzare è questo fatto: se Sara Tommasi ottiene benefici nel fare quello che fa è perché è il suo multi-stakeholder approach ad imporglielo. Di certo nel suo caso non si può parlare di individualismo, di ricerca del profitto a scapito della responsabilità sociale; tutte le sue azioni sono fatte considerando le richieste di consumatori, fornitori ed altri portatori d’interesse. E’ la società civile ad implorarle di denudarsi, e questo signori miei è certamente una cosa raccapricciante perché sarà anche vero che è nella natura dell’essere umano desiderare la volgarità (e le tette e i muscoli sudati), ma non è assolutamente naturale che questo desiderio prevalga su altre prime necessità e venga richiesto fino a strapparsi i capelli. Qualcuno ritiene di aver visto la fine della cultura nell’insurrezione popolare dopo l’oscuramentodi Mediaset negli anni ‘80. Può darsi; ciò che è certo è che di fronte all’immenso album informatico sulla Minetti consultabile su Corriere.it o Repubblica.it, non si può che confermare la dittatura della sottocultura.

E dunque, per quale motivo la Tommasi dovrebbe smettere di ricordarci la sua laurea in Bocconi mentre ingoia l’ennesimo microfono, quando tutti i suoi stakeholders sono appagati e ripagati? Semplice: perché la Corporate Social Responsibility funziona sul lungo termine, e nessun manager sano di mente penserebbe mai di applicare una strategia di questo tipo per massimizzare il valore individuale e collettivo soltanto sul breve. Eppure la strategia di Sara Tommasi e delle altre donne (e uomini) con attività body-intensive è così, e tra qualche anno sarà troppo vecchia per soddisfare i desideri altrui. A quel punto i casi sono tre: 1) muore giovane e ricca, 2) muore vecchia e sconosciuta, 3) muore vecchia e felice. E’ evidente che la migliore delle ipotesi è la terza, ma per ottenerla la Tommasi deve cambiare completamente l’orizzonte temporale e la prospettiva della propria strategia: da una CSR per il breve termine ad uno shareholder’s value di lungo termine. Accademicamente clamoroso, oserei dire.

Il biscotto, nel frattempo, è già stato pucciato. Anche quello di Buffon, di Iniesta e di Modrić. Quali saranno stati i loro pensieri stamattina, prima delle partite che potrebbero decretare la loro eliminazione dall’Europeo? I croati e gli spagnoli avranno comparato i benefici tra una strategia incentrata sui loro singoli desideri (pareggiare e passare con certezza al turno successivo) e una che invece comprende anche gli altri portatori d’interesse (i tifosi di calcio e, più in generale, il rispetto per l’etica sportiva). Ma a noi italiani questo non deve interessare, perché sebbene anche noi siamo appassionati di calcio, i nostri interessi sono inferiori e per certi versi contrastanti con quelli di spagnoli e croati; in altre parole, se le furie rosse dovessero seguire una pecking-order theory per decidere quali stakeholders soddisfare, noi saremmo certamente gli ultimi della lista. Mi pare che questo sia chiaro a tutti (ma solo perché, in fondo, nessuno di noi crede davvero nel 2-2). La nostra insoddisfazione deve focalizzarsi sempre e solo sul comportamento della nostra nazionale; è per questo motivo che una class action dei tifosi dell’Atalanta nei confronti di Cristiano Doni è sensata, mentre i malumori verso un pareggio slavo-ispanico sono semplicemente ridicoli.
Concludendo, ricapitoliamo che cosa abbiamo imparato oggi: 1) se gli stakeholders hanno interesse solo sul breve termine, allora conviene seguire una strategia volta a massimizzare l’interesse individuale sul lungo periodo; 2) bisogna fare ordine tra gli stakeholders, distinguendo i portatori d’interesse diretti (esempio: gli spagnoli per la nazionale spagnola in quanto spagnoli,) da quelli indiretti (gli italiani per la nazionale spagnola in quanto tifosi di calcio). Le richieste dei primi sono importanti e vanno salvaguardate, quelle dei secondi sono soltanto fastidiosi biscotti sul fondo della tazza.


Dan Marinos

4 commenti:

  1. Ho letto con vivo interesse il tuo post. Prima di tutto, è scritto molto bene. Ma mi permetto comunque di dissentire.

    Sono una ragazza di qualche anno più giovane della Tommasi, non credo di essere propriamente un cesso e quindi non parlo da 'racchia che se potesse... ma non può', ma sostengo profondamente la stupidità della Tommasi.
    Stupidità, questa, che deriva dall'aridità culturale, principalmente.

    Non sono una di quelle che sostiene che si sia comprata la laurea in Bocconi: il sistema italiano, da questo punto di vista, è un sistema per mediocri. Nel senso che basta studiare sui libri e l'esami lo passi. Parlo per esperienza: ho conseguito la laurea triennale in Italia (in uno dei migliori atenei, peraltro), e poi sono scappata all'estero. Il sistema italiano, estremamente valido da un certo punto di vista, permette a qualunque individuo con un q.i. superiore allo zero di arrivare alla meta.

    Ma quella laurea, come molte altre, come per molti altri, non le sarebbe mai risultata utile: per rendersi conto di questo basta sentirla parlare. Avrà anche studiato bilancio, ma non ha mai tentato di estendersi. E per i lavori veri, la bellezza non basta. I bocconiani capaci non verranno giudicati in base al loro aspetto, grazie al cielo.

    E' da questo punto di vista che intendo la sua 'stupidità'. La stupidità di una ragazza che dovrebbe essere ormai donna che non si rende conto che il culo prima o poi cede alla forza di gravità, che la bellezza appassisce, e che una senza arte ne parte non avrà un futuro.

    Non è la Loren, non è la Blasi, non è la Vitti, non è la Canalis. Donne disparate, certo, ma che hanno saputo giocare bene le loro carte. Che potranno piacere o non piacere, ma dimostrano comunque cervello. Senso della realtà. Alcune di loro si sono spogliate, hanno posato senza veli, e da donna di sinistra ho sempre storto il naso ma ho anche 'difeso' le loro scelte. Ognuno è libero di utilizzare il proprio corpo come vuole, fintanto quell'uso non ne pregiudicata la dignità. Questa è la mia opinione personale.

    La Tommasi si ritroverà tra non molto sostituita da una copia più giovane, e nel migliore dei suoi futuri possibili finirà a fare la commessa in qualche discount in una qualsiasi periferia italiana. Questo perché le puttane è vero che in questo paese piacciono, ma non sono in grado di sopravviversi.

    Per finire, e mi scuso per questo commento sgrammaticato e forse senza logica, ma sono distrutta e l'unica cosa che desidero è un letto e un cuscino, la Tommasi dovrebbe rendersi conto che spogliarsi davanti a un bancomat o fare la pazza isterica che è stata drogata non fa bene a se stessa. Certo oggi probabilmente incassa un sacco di soldi, ma i suoi benefattori si stancheranno ben stesso delle sempre uguali sceneggiate.

    Ps. Sceneggiate anche un po' reazionarie, se vogliamo ben vedere.

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  2. Carissima,
    ti ringrazio per il tuo apprezzamento e per il tuo commento.

    La stupidità è una parola che si presta a moltissime sfaccettature ed interpretazioni: nel caso del mio articolo si riferiva alla stupidità tendente all'ignoranza, nel tuo commento invece credo si riferisca alla miopia culturale e alla tendenza autodistruttuva. Le due opinioni possono reggere senza autoescludersi di fronte alla Tommasi, nell'ipotesi intuitiva che si sia laureata studiando i libri a memoria. Questa pratica infatti non rende stupidi in quanto ignoranti (come io sostengo) ma in quanto miopi (come sostieni tu); è per altro un approccio allo studio usato dalla maggioranza degli studenti, e condivido con te il rintracciare la causa nel metodo didattico italiano. Il punto dunque è mettersi d'accordo su cosa si intende per stupidità.

    Aggiungo inoltre che non vedo davvero alcuna differenza tra la Tommasi, la Blasi e la Canalis; ammetto di non avere idea a quali divergenze formali e sostanziali tu ti riferisca, e di conseguenza percepisco una tua immotivata preferenza per le seconde rispetto alla prima.
    Sul fatto che si ritroverà sostituita da una copia più giovane sono assolutamente d'accordo con te; sul fatto che spogliarsi davanti a un bancomat non le faccia bene non mi esprimo, e lascio decidere a lei o ad un dottore di scienze neurologiche. Che non faccia bene a noi, mi pare infine scontato.

    Dan Marinos

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  3. Articolo a dir poco stupendo (mi sono sforzato, ma per il momento di brutti non ne ho ancora trovati su questo blog).

    Concordo con entrambi i commenti perché, a mio avviso, inquadrano e definiscono molto bene la medesima problematica da prospettive diverse, ma non discordanti.

    Di fronte alla sacrosanta frase "ognuno è libero di utilizzare il proprio corpo come vuole fintanto quell'uso non ne pregiudica la dignità" & "ognuno col proprio corpo può farci ciò che vuole purché nei limiti della propria coscienza" io mi chiedo, concordando con voi, ma è davvero necessario tutto questo accanimento mediatico?
    Ovviamente non mi riferisco a un blog o a persone che ne dibattono, quanto più al fatto che in Italia (ma non solo) c'è una "creazione di valore" quasi infinita derivante spesso e volentieri dal nulla. Provo a spiegarmi meglio.
    Sara Tommasi è una ragazza molto carina (il range varia da "è una smandrappona atomica" a "ce ne sono 1000 come lei") che non perde occasione per far parlare (il suo corpo) di sé.
    Bene.
    Perché mobilitare stampa, media, eventi nei locali, agenzie pubblicitarie (altro che agenzie di Rating, quelle di Lele Mora & Co. sono molto più criminali!) e chi più ne ha più ne metta?
    E' pieno di ragazze e ragazzi di questo tipo, persone che per un po' di visibilità sono disposti a tutto, perché concederla loro senza fargliela pagare (nel vero senso della parola)? Perché non veicolare la domanda di "voyeurismo" o altro verso altri lidi?

    Davvero siamo al punto che se una sculetta nei pressi di un Bancomat è in grado di "creare valore = dar da mangiare" ad agenti, inserzionisti, ospitate TV ecc...?

    Non ricordo emittenti televisive darsi battaglia per avere in studio una Fallaci, una Alda Merini, chi più ne ha più ne metta (anche perché con tutta probabilità queste SIGNORE non ci sarebbero andate) mentre Santoro, Floris, ecc...si contendono una Macrì, una Minetti, una Tommasi...se davvero siamo diventati schiavi di questo Gossip, allora tassiamolo, tassiamolo fino ad esasperarlo e investiamo sulla psico-terapia perché di Sara Tommasi ce ne saranno presto tantissime.

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  4. Dunque, caro anonimo o anonima, premetto che riguardo a Sara Tommasi credo che la sua fama sia dovuta in parte a colpi di fortuna e in parte per sue trovate originali e particolari. Come per quasi tutte le persone che hanno avuto successo.

    La questione che tu poni però è un altra, ovvero: è giusto che esista questo tipo di successo? Perchè Alda Merini non l'ha avuto, e la Minetti ce l'ha? Per risponderti, rimando al mio post: di che tipo di successo stiamo parlando?
    Quello della Tommasi è di tipo "di massa" ma a breve termine. Quello della Merini o della Fallaci è più elitario, ma è destinato a perdurare nel tempo: tra secoli gli studiosi dibatteranno l'importanza artistica della prima e gli storici useranno gli scritti della seconda per capire alcune questioni nazionali e internazionali. Sulla Tommasi, il nulla.

    Forse dovremmo preoccuparci che la sottocultura alla Tommasi non intacchi la sana cultura. Ma esiste davvero questo rischio? Io penso che, nella storia, la seconda abbia sempre resistito alla prima, che si presentava in molteplici forme: dalle credenze popolari, al cattolicesimo più bieco, alle puttanate da rotocalco anni '60 e alla zozzeria attuale.

    Non rimane che un'ultima questione: la cultura dovrebbe imporsi sulla sottocultura? E come?

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