lunedì 4 giugno 2012

I bilanci dei partiti politici

I bilanci dei partiti politici in attesa del timbro del revisore.

Siete a favore del finanziamento pubblico ai partiti o preferite che questi ricorrano esclusivamente a donazioni private? Temete il rischio che il primo ministro diventi suddito di una grande impresa o aborrite l’idea che i politici sperperino a nostre spese per fini prettamente personali? Io non sapevo prendere posizione su questi punti, e non sapendo da che parte stare procrastinavo. Finché venni illuminato: in economia (ma si può applicare la cosa anche in altri campi) quasi tutti i problemi provengono da difetti d’informazione. L’asimmetria informativa non è una cosa che insegnano per raccontare storie divertenti tra manager truffaldini e coccolosi azionisti di minoranza: è una cosa che distingue i costi che si paga volentieri per ottenere un valore aggiunto (un bene come il computer o un servizio come il trasporto aereo) da quei costi che si farebbe volentieri a meno di pagare ma che, alla fine, si pagano sempre. Lo si fa perché c'è bisogno di qualcuno che ci dia quelle informazioni in più necessarie per prendere decisioni, o che almeno certifichi la verità di quei dati e dichiarazioni che abbiamo in mano. E in realtà quel ciuccia-cicuta di Socrate, che si gasava di non sapere, ci aveva visto giusto: finché non sappiamo, come possiamo prendere decisioni? Da questo punto di vista, è quasi meglio continuare a procrastinare. Ritornando alla domanda sul finanziamento ai partiti, perché dibattere sulla questione quando, in entrambi i casi, si otterrebbe la soluzione sbagliata? Questo perché non si hanno informazioni affidabili su come i partiti utilizzino tali soldi, su come vivano, su come operino: i bilanci ci sono, è vero, ma non si può sapere se siano fogli utili per la scrivania o per il gabinetto. E una via di mezzo - com'è la situazione ad oggi - non è ammissibile.
   
Partiamo dal principio: cosa sono i partiti. Giuridicamente si tratta di associazioni non riconosciute, terminologia che include entità piccine come il Club dei Pescatori del Fosso dietro Casa Mia e giganti come la CGIL. La disciplina dei partiti era dunque innanzitutto affidata a qualche generico articolo del Codice Civile, dopodiché si è provato ad arricchire la normativa aggiungendo una manciata di leggi, approvate nel 1974, nel 1981, nel 1993, nel 1997 e infine nel 1999 (salvo piccole modifiche e referendum vari, ma tanto contano poco o un cazzo). Si noti come prima cosa che la disciplina sui bilanci era ed è soltanto un corollario al tema principale, cioè il finanziamento pubblico, anziché essere una condizione a priori (tanto che la legge si rivolge ai partiti "che beneficiano dei sussidi previsti": cosa accadrebbe dunque ad un partito che rifiutasse tale favore?). Di regole alla contabilità poi, giusto un pizzico: è vero, le voci di conto economico e stato patrimoniale sono specificate dalla legge, ed è richiesta una nota integrativa e la relazione della gestione. Tuttavia ogni partito è libero di scriverli come meglio ritiene, e non sto parlando solo di come vengono valutate per esempio le partecipazioni (fosse solo quello, leccherei una tigre infuriata) ma addirittura di quale principio contabile debba essere usato: di cassa o di competenza, la scelta è lasciata agli amministratori, che la possono cambiare di anno in anno alla faccia della chiarezza di bilancio.
Si capisce che una piccola lista come “Cristianamente riprendiamo a parlare”, vincitrice alle amministrative nel comune Tricarico, possa anche evitare di usare il principio di competenza economica per via della pochezza dei propri numeri. Ma una soglia che discrimini chi debba seguire quale principio potrebbe aprire più dilemmi che soluzioni definitive (ne dico una: nessun partito si candiderebbe alle amministrative ma userebbero piccole liste civiche mascherate, che tanto ora vanno di moda). E' allora evidente che c’è bisogno di un sistema di controlli serio e affidabile, che sappia capire il perché il PDL ha un patrimonio netto negativo di 7.5 milioni di euro. Oggi i controlli sui conti dei partiti sono di due livelli, uno interno e uno esterno. Quello interno è affidato ad una specie di collegio sindacale, composto da tre revisori scelti dal partito. Nessun problema, il fatto che i controllori siano nominati dal controllato avviene anche nelle società commerciali: peccato che questi dovrebbero essere minimamente indipendenti, e non segretari di alcune sedi locali del medesimo partito. Siccome che, in assenza di revisione esterna obbligatoria, la responsabilità nella regolarità cade sul collegio, ci sarebbe da sperare che assieme a Belsito siano indagati anche i sindaci della Lega Nord. E invece le comiche: pare che l’amministrazione del Carroccio abbia falsificato le loro firme da anni!
Ma passiamo al secondo livello di controllo, quello rappresentato da un comitato di revisori nominato dal Presidente della Camera. A loro spetta il compito di verificare che i bilanci pubblicati siano formalmente corretti, ovvero che tutto sia indicato come negli schemi previsti da legge. Questo vuol dire che non possono né devono verificare la correttezza dei numeri, anche perché solo l’anno scorso sono stati depositati a occhio e croce una cinquantina di rendiconti (vedi qua).  Una piccola perla poi, che ancora non so se è stata risolta o se è rimasta (ma scommetterei di no): nonostante ogni base logica, i bilanci dovrebbero essere pubblicati entro il 31 Gennaio, e depositati alla commissione entro il 28 Febbraio. Ditemi in quale altro settore un documento viene reso disponibile prima del controllo: nemmeno per gli articoli del peggior giornalino pastorale si usa questa prassi. In questi giorni in Parlamento si discute (e in parte, si è approvato) un progetto di riforma dei finanziamenti ai partiti; pare che l’audit passerà dalle mani della commissione attuali al triumvirato dei presidenti di  Corte dei Conti, Consiglio di Stato e Cassazione. E’ lampante che questi tre possono – legittimamente – non sapere nulla di revisione contabile, per cui mi aspetto di veder nascere una nuova inutile commissione.

Perché allora non usare i servizi di una società esterna di revisione? Sono competenti, sono indipendenti se disciplinate a dovere, sono dotate di risorse umane e materiali che permettono di investire tempo e denaro in controlli di sostanza. Qualcuna di loro ha già avuto a che fare con i partiti e i loro bilanci: KPMG ha aiutato le indagini nello scandalo Lusi e PwC revisiona da tre anni il bilancio del PD. Ma ad oggi l’opinion di un revisore esterno vale ben poco, perché la frase standard “il bilancio è stato redatto in conformità ai principi imposti dalla legge” non ha alcun significato dal momento che per i partiti non ci sono veri principi contabili. Di conseguenza il revisore chiamato su base volontaria si alleggerisce del tutto di una responsabilità che è già comunque un pelo minore rispetto a caso della revisione legale. 

Conclusione: sapete chi ha i bilanci pubblicati sul sito del Parlamento (pagina web a prova di idiota) anzichè su numeri sconosciuti della Gazzetta Ufficiale, tutti revisionati da società/revisori esterni sulla base di principi contabili chiari?
La Germania, guarda un po’.
Dan Marinos

Nota: il post che avete letto è la versione integrale dell'introduzione alla mia tesi di laurea. Dovrebbe essere anche quella definitva, salvo che il mio relatore non chieda più parolacce e meno tecnicismi.

Nota2: ho già depositato il titolo, carissimi, quindi niente furberie.

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