domenica 25 novembre 2012

Registi, dirigenti e dirigismi.



Da piccolo non capivo il ruolo del regista nei film. Generalmente non è lui che recita, che prepara le luci, che scrive la sceneggiatura, che disegna i cartoni animati, che prepara la scenografia, che inserisce gli effetti speciali, che sistema l’audio e che scrive la colonna sonora. Perché fosse così importante e ricevesse così tante attenzioni durante la notte degli oscar, era un mistero.  Allo stesso modo non riconoscevo il ruolo specifico del regista nel calcio: il difensore ostacola gli avversari, le ali corrono e crossano, i centrocampisti la passano agli attaccanti che segnano (tranne nel caso di Larrivey). Succedeva quindi che a fine partita i commentatori Sky dessero il premio del migliore in campo a Pirlo (e non Kakà, o Inzaghi), e io non capissi il perché, visto che, trotterellando lì davanti alla difesa, mi era del tutto invisibile. Gattuso per lo meno uccideva le persone.

Ho da poco finito di guardare Twin Peaks, la serie tv primi anni ’90 di David Lynch. E’ stato uno sforzo indicibile. Non tanto per i temi allucinanti e le scene non-sense, ma per la confusione assurda che ha reso elevata, ai miei occhi, la percentuale di puntate noiose o inutili  rispetto a quelle geniali e spettacolari. Il motivo di questa volatilità nella qualità pare sia dovuta al fatto che, a metà stagione, Lynch abbandonò il suo ruolo delegandolo ad alcuni suoi apprendisti, salvo poi riprendere in mano le redini verso la fine della serie. A proposito di registi che abbandonano, è da due stagioni che guardo il Milan passare in sequenza dallo schema di gioco “palla ubriaca di passaggi”, a “palla lunga a Ibra”, e infine a “cosa essere palla?”. Guardo in alto e vedo la Juventus, nei miei ricordi di adolescente grande squadra di muratori, oggi portata a passeggio da Pirlo.

E allora capisco il ruolo del regista.

La grande accusa che viene rivolta alla classe dirigente è quella di aver soddisfatto la fame di liberalizzazioni e privatizzazioni del prezioso, favoloso, meraviglioso patrimonio industriale pubblico. Solo che guardando le relazioni d’interesse delle imprese apparentemente privatizzate, dalle evidenti partecipazioni azionarie alle più celate modalità di assegnazione di incarichi e commesse, vengono forti dubbi su quanto si sia effettivamente tolto dalle mani dello Stato. La confusione regna sovrana, con Paragone che, incalzato da un Boldrin che chiedeva l’esempio di una vera e cattiva liberalizzazione, cita “lo statuto dei lavoratori” (minuto 1:00). Misteri e confusione, che portano ad analisi non-sense come questo video. Insomma, la sottrazione di attività economica dalle mani dello Stato comporta sull’italiano una paura legittima. E’ innanzitutto qualcosa fuori dalla sua cultura, e i risultati dei pochi, grandi e storici esempi di liberalizzazione in Italia fanno accapponare la pelle.

Da un lato dunque non piace l’idea di uno Stato dirigista (indipendentemente dai risultati che ottiene), dall’altro si teme una privatizzazione operata in maniera volutamente “a cazzo di cane”, con sottotrame nascoste, inutili e dannose. Non rimane dunque che uno Stato che diriga sapientemente la fine di sé stesso nel ruolo di protagonista nell’impresa. Un ottimo regista insomma, che faccia un bel piano quinquennale di dismissioni intelligenti, una programmazione economica “negativa” così solida e inderogabile da tranquillizzare il cittadino.

Bene dunque chi scrive chiaro e tondo dove agire, ripetendo che Trenitalia non è privata, né Enel, e per poco nemmeno Parmalat. Ma poche persone sono disposte a leggersi gli studi di Banca d’Italia, di Harvard o dell’Istituto Bruno Leoni. L’elettore base sa poco o nulla di rete, distribuzione e sistema di tariffe del gas. Certo dovrebbe saperne di più, ma esistono elementi comuni ad ogni liberalizzazione che egli deve necessariamente sapere subito: quali sono le qualità che deve avere il vincitore? Deve rinunciare ai licenziamenti? Deve essere italiano o può essere straniero? Deve pagare di tasca propria o può indebitarsi fino all’osso? Deve garantire i prezzi scelti ho può fare aumentarli per remunerare il proprio capitale? E chi, esattamente, garantirà che la scelta tra i candidati sia davvero la migliore?
Per molti esperti in materia queste domande appaiono scontate, per l’insegnante di letteratura e il ferroviere non lo sono.


Dan Marinos


Ps: Forse vi pare un articolo serio, tristemente serio. In effetti sembra scritto da un incrocio tra Michele Serra, Gramellini e Daria Bignardi. Meriterei le botte per questo. Ma guardate l’ironia, in fondo. La questione Milan-Juve è stata scritta prima del fischio finale di dieci minuti fa, che ha sconfessato tutta la tesi di questo pezzo. E, nonostante tutto, godo.

giovedì 1 novembre 2012

Il contratto d'affitto (altro che il cappotto di Gogol')

Quest'avventura mi ricorda....



Quel giorno d'ottobre, alle nove e venti, Nikolaj si recò al Comitato per la Partecipazione del Cittadino nello Stato in modo da registrare finalmente il contratto d'affitto della casa nella Grande Città, dove si era appena trasferito. In realtà doveva pensarci il padrone di casa, ma egli si trovava in Messico (per eliminare un noto dissidente antisovietico) per cui aveva delegato la pratica al neo inquilino, Nikolaj appunto.

Entrato, il giovane attese in maniera molto urbana che fosse il suo turno allo sportello centrale, dove gli sarebbe poi stato consegnato un numero e sarebbe stato indirizzato all'Ufficio di competenza.  Dopo circa un'ora, toccò a Nikolaj. L'addetta allo smistamento-pratiche diede un'occhiata ai documenti e disse: "Tovarish! Lei non ha pagato le tasse di registrazione! Deve recarsi in banca, versare il 2% del canone annuo e poi tornare qua, al Comitato! Ad ogni modo, mi ricorderò di lei, per cui non si preoccupi di fare nuovamente la coda." Nikolaj, avendo vissuto fino ad allora in campagna, pensava ingenuamente che le tasse, o meglio le partecipazioni del Cittadino nello Stato, andassero pagate nel Comitato stesso. "Pazienza", pensò; uscì dall'edificio e si recò alla prima banca nei paraggi. Effettuò il pagamento e si fece dare la ricevuta dalla gentile compagna che lavorava allo sportello.

Tornato alla Cancelleria delle Finanze del Popolo Supremo, Nikolaus si diresse immediatamente allo sportello: "Herr Nikolaus, cerchi di capire, il nostro popolo è ligio al dovere, e non posso davvero farla passare prima degli altri." Tuttavia il sangue di Nikolaus era affetto da geni italici che, si sa, non erano affatto efficienti come quelli del vero Popolo Supremo (e per questo, forse, egli avrebbe avuto problemi in futuro). Ad ogni modo, l'innata tendenza al crimine del giovane gli permise comunque di strappare un numero e di dirigersi verso l'Ufficio per l'Abitazione Suprema del Popolo Supremo. Qui Nikolaus incontrò ulteriori problemi: sulla ricevuta della banca era ben presente il timbro dell'istituto creditizio e la data di registrazione, ma mancava la firma della sportellista. Per questo motivo l'impiegata dell'Ufficio cercò di rifiutare i documenti, temendo che il pagamento non fosse in realtà stato effettuato. Il ragazzo disse: "Fraulein, se mi dà una biro gliela faccio io la firma, che tanto sono sempre degli scarabocchi". Allibita per la gran faccia tosta, tanto da registrare il nome del protagonista tra i sospetti impuri, la donna disse: "Herr Nikolaus, è forse uscito di senno!? Io comunque le credo che ha pagato, ma la mancanza della firma è qualcosa di formalmente inaccettabile. Tuttavia le verrò incontro". E così dicendo, scrisse sul retro della ricevuta che Nikolaus giurava di aver pagato, sottoscrivendo con la di lei firma tale dichiarazione. 

Il nostro eroe credeva di aver finito tutto, ché già era ora di pranzo, ma quando l'impiegata prese i bolli di registrazione le si drizzarono i capelli: "Herr Nikolaus, ma quando li ha comprati?" "Oggi, in tabaccheria. Perché?" "Non va assolutamente bene, Herr Nikolaus! I bolli vanno comprati prima della stipula del contratto. Qui vedo che il contratto è iniziato due settimane fa, per cui ora deve pagare la mora". "Ma scusi, se per la registrazione si ha un mese di tempo, perché mai dovrei comprare i bolli prima dell'inizio del contratto?" "Niente ma! Ora lei va in banca a pagare la mora di sette soldi del Popolo Supremo! E non si dimentichi di aggiungere un soldo per il bollo della certificazione energetica!". Inviperito, Nikolaus tornò alla banca, e pagò questa benedetta mora.

Al suo rientro all'Agenzia delle Entrate, Niccolò tornò all'Ufficio dove l'impiegata disse che la documentazione, nel frattempo, non era stata comunque accettata. "Ma come? Mi faccia parlare con il direttore!". Fez in testa e stivaletti militari, entrò il direttore dell'Ufficio, che si introdusse dicendo irrispettosamente: "Camerata, guardi, oggi ho un mal di testa... e beh, insomma, qua manca la firma della cassiera! La sua pratica è inaccettabile." "Ma se dietro c'è l'accettazione della sua collega, con la firma." "Ma lei potrebbe aver falsificato la firma della mia collega! Deve tornare in banca e farsi mettere la firma dalla sportellista. E siccome a quest'ora le banche han chiuso, e chiudiamo anche noi, la prego di tornare domani". Niccolò, ascoltando questa assurda frase, esplose. Pretese la registrazione della pratica immediatamente, altro che tornare il giorno dopo. Al che il direttore si inalberò, petto in fuori e mento pronunciato, e tentò di intimorire il ragazzo minacciando di chiamare il Du...no, scusate, il Direttore Maximo. "Nessun problema", disse spavaldo Niccolò, e venne all'istante spedito ai piani superiori, dove stava l'origine dei fili invisibili.

"Caro Niccolò" disse il Direttore Maximo in maniera paternale, in quanto - non dimentichiamolo - Padre della Patria e dell'Impero: "i documenti devono essere assolutamente ben formalizzati. Altrimenti sono problemi, soprattutto per te." "In che senso, Direttore?" "Beh, se per caso tra venti giorni scoprissimo che non hai pagato davvero, poi saremmo costretti a venirti a prendere e a farti pagare il doppio sottoforma di olio di ricino". Ma Niccolò non aveva paura, né della multa né dell'olio. Perché lui quella maledetta tassa l'aveva pagata, per cui sapeva che nulla gli sarebbe mai successo. Tornò nell'Ufficio registrazioni, accompagnato dal Direttore Maximo che avallò personalmente il deposito del contratto d'affitto. Erano le quattro e venti. Niccolò aveva viaggiato nella burocrazia per sette ore consecutive, pranzando solamente con un Twix.
Nel frattempo il Marinos aveva fatto richiesta per ottenere il pass per parcheggiare sulle strisce gialle. Ma non aveva ricevuto ancora risposta...


Dan Marinos


F.A.Qs:

D: Ma non potevate usare la cedolare secca e non pagare tutte quelle spese? 
R: Il padrone di casa vive da un pezzo in Messico e non ha idea di cosa sia una cedolare secca. E nemmeno io, del resto.

D: Ma non potevate fare la registrazione online?
R: Il padrone di casa ha da un pezzo richiesto all'Agenzia delle Entrate il codice di attivazione delle procedure online. Dopo un mese, superando il limite temporale entro il quale registrare l'affitto, tale codice (che l'Agenzia dovrebbe inviare per posta, secondo il padrone di casa) non è ancora giunto.

D: Questo rimando alle dittature novecentesche: non avrai mica copiato dalla stupenda vignetta di Makkox?
R: ............................................