domenica 27 maggio 2012

E' Amore


Non è un cuore; è la curva J sdoppiata dopo un Brut del 2008


Se volevi scrivere un articolo su Vendola che apre ai privati
sulla gestione dell'acqua, e se volevi scrivere un pezzo
su Berlusconi semi-presidente, oppure
se volevi scrivere gli ultimi tuoi giorni in università
dove i muri sembra che ti rifiutino
e la biblioteca è piena di sconosciuti.
Se volevi  scannerizzare una storia di Topolino,
dove Paperone fa il ganassa e credit-crùncia suo nipote,
o se volevi scrivere un qualcosa sulla vittoria dei grillini
a Parma, sfruttando qualche enjambements che in
fondo è l'unica figura
retorica che ricordi dai tempi delle medie.
E poi magari qualche figura retorica la usano già
i bocconiani liberali, concorrenti che cavalcano Satana,
come quando citano: "il problema è il surplus della Germania,
quindi dobbiamo essere tutti in surplus." (e altre ne trovate qui).
Se vorresti analizzare gli album fotografici della Minetti
archiviati dal Corriere.it, cercando la correlazione curvilinea
con le comparsate della Tommasi a La Zanzara
oppure se ti venisse in mente di creare un indicatore di rendimento
basato sulle facce di Adriano Galliani.
Se vorresti stupire ogni volta i tuoi lettori,
ma l'ultimo che ha provato a stupire qualcuno è stato
Masciandaro che scaraventò per terra il cellulare squillante
durante una lezione di macro.
Se il cellulare era un Nokia, che ha visto cadere Freddie Mac,
e vedrà crollare Facebook, e tu ancora ti chiedi:
"Minchia, com'è che ho seguito macroeconomia
durante lo scoppio della crisi e i professori entravano in aula
sorridenti come gli omini delle istruzioni antipanico in aereo?"

Se tutto questo l'hai pensato ma non sei riuscito a scriverlo,
perchè eri in giro per le cantine della Franciacorta,
allora sei un Economostro, figlio mio.



lunedì 21 maggio 2012

Fedeli nel mercato!



Otherwise, STRONG SELL.


Venerdì il freno principale alla mia tesi di laurea, cioè Facebook, si è finalmente quotato in borsa dopo secoli di bisbigli e aspettative. Ogni singola azione è stata offerta a 38$, prezzo che praticamente è rimasto invariato alla chiusura della borsa (38 virgola un “mi piace”) nonostante uno strappo a 42$ durante la giornata. Il fatto che 38$ erano e 38$ sono rimasti è interessante e lascia aperte molte risposte (che verranno confermate o sbugiardate nelle prossime settimane, se non nei prossimi anni). Si potrebbe per esempio dire che le banche di investimento hanno perfettamente azzeccato il valore che il mercato ritiene sia corretto per la società, evitando di lasciare “sul tavolo dell’IPO” anche un solo dollaro; in altre parole l’offerta non era affatto underpriced (tecnica ben illustrata dal manuale di Investment Banking del buon Iannotta, avente come fine quello di aggraziarsi la domanda). I fenomeni di underpricing erano particolarmente vivaci durante la dot.com bubble, quando durante il primo giorno di contrattazione si poteva facilmente osservare un incremento di prezzo di più del 100%. Con quello che è successo a Facebook (col suo misero +0.6% a fine giornata) si potrebbe pure sperare che i mercati abbiano imparato qualcosa, sempre che già 38$ per un’ azienda che lucra sulle foto di me ubriaco non sia un prezzo troppo elevato. Magari era una giornata sfortunata per un’IPO del genere, con Linkedin che ha punteggiato un loffioso -5.65% Groupon che ha sganciato un -6.68% e Zynga che ha vomitato il 13.42% di se stessa. Se l’addio al nubilato di Facebook si è concluso con un totale immobilismo si spera almeno che la prima notte di nozze di Zuckerberg abbia avuto erezioni migliori, di certo facilitate dal fatto che, intraday return  o meno, l’IPO del social network ha comunque portato alle tasche del ricciolo fondi delle dimensioni di una mini-manovra tremontiana. 

Nel frattempo qualcuno si domanda se il mondo virtuale stia per imporsi nuovamente sul mercato come alla fine del vecchio millenio. Qualcuno ci crede, qualcuno no. Una risposta è stata data ieri sera al Citi Field di New York, stadio di baseball dove 40mila ebrei ortodossi si sono trovati per scegliere se condannare o meno Internet. La loro risposta è stata: “Barabba!”.  Come scrive il Corriere della Sera, i partecipanti ritengono la rete un flagello sia per i contenuti porno sia per la corruzione dei rapporti sociali e familiari perpetuata dai social network. Rapporti familiari che per altro si basano comunque sulla comunicazione a distanza, visto che le donne sono dovute rimanere nelle comunità ebraiche di NY a seguire la diretta TV (così vuole la religione). Certo gli ebrei ortodossi non devono aver preso molto bene l’IPO di Facebook, ma grazie a Dio esistono forze del bene pronte a combattere le azioni di Satana. Per chiamarle non dovete pregare, non dovete implorare, non dovete sacrificare vostro figlio Isacco: basta andare sul mercato e comprarle.

Il Pax Fund, l’Amana Fund, il Praxis Fund o l’Ave Maria Investment Fund. Tu dimmi una religione e io ti trovo la quotazione. I primi due tuttavia hanno profili poco ortodossi, o per lo meno così appare dal loro sito internet. I principi religiosi alla base della selezione degli investimenti non sono messi particolarmente in evidenza, e l’importanza maggiore viene data ai prodotti offerti e alle loro performances.  Il Pax Fund venne fondato nel 1971 sotto lo sguardo vigile dei principi della United Methodist Church; l’Amana Fund segue i principi del “Halal investing”, ovvero le regole imposte dal Corano sugli investimenti finanziari (niente interessi, niente società che offrono alcol, pornografia, scommesse e niente banche). Ma che il Corano imponga esotiche strategie finanziarie lo sanno oramai anche i sassi del Sinai.
Molto più pubblicizzate sono le intenzioni degli anabattisti mennoniti con il loro Everence Praxis Fund. Everence si definisce “a financial services organization based on the idea that it is possible to incorporate your faith and values with your decisions about money. We do this to follow the biblical instruction to be good stewards” e servono non solo il loro gruppo religioso ma decine di altri ordini, dal Old Order Amish alla Fellowship of Grace Brethern Curch: insomma, altro che peanuts. Tra i loro prodotti spicca il Core Stock Fund, che evita i produttori di armi, che investe in chi rispetta la santità della vita umana, e che cerca aziende con una dannata “sound corporate governance”. Ma il migliore di tutti è senza dubbio l’Ave Maria Mutual Fund, "the America largest of Catholic Mutual Funds". E qui non si scherza più. Il loro prodotto “Catholic Values Fund” investe solo nelle società che rispettano gli insegnamenti della Chiesa Cattolica Romana. Nell’advisory board lavorano personaggi come Lou Holtz, “one of the most successful college football coaches of all time, a football analyst for ESPN and a highly sought inspirational and motivational speaker”, o come Bowie K. Kuhn, “Former Commissioner of Major League Baseball”, o infine come Fratello John Riccardo e Thomas Moneghan, fondatore della Domino’s Pizza.

Qui sotto il prospetto dei rendimenti dei fondi che avete appena letto. E’ evidente che l’orgia peccaminosa dell’indice laico può appagare soltanto nel breve termine, mentre i valori della fede vincono nei secoli dei secoli. Redimetevi, prima del giudizio finale di una società di rating ortodossa!


1yr
3yrs
5rys
10yrs
Amana Income Fund
-0,15
15,04
4,11
8,92
Pax Balanced Fund
-1,13
12,95
1,14
4,69
Everence Core Stock Fund
-0,53
14,98
-2,91
0,95
Ave Maria Catholic Values Fund
0,60
21,73
1,20
6,40





S&P 500 Index
4,76
19,44
1,00
4,70



Dan Marinos

































1,00
4,70


domenica 13 maggio 2012

Hunger Jobs

Una classica immagine da risorse umane. In realtà è una scena tagliata di Hunger Games.


Ieri sera sono andato a vedere Hunger Games. Bello. Personalmente ho sentito molte persone parlarne alla radio ma non ho ancora sentito nessuno che sia andato a vederlo; pare che il film della settimana sia invece The Avengers. Comunque lo ammetto, questo film mi ha fomentato: probabilmente ci ho visto molti più spunti, argomenti e riflessioni di quanto gli autori avessero intenzione di far intendere, ma tant'è.
La trama non è semplice, ma ha infiniti richiami a storie già lette e viste. In un futuro impreciso dodici regioni di una nazione che sa di U.S. sono costrette ogni anno a estrarre a sorte un ragazzo e una ragazza dai 12 ai 18 anni per un tributo. I nominati dovranno combattere in una foresta-arena (ricostruzione che ricorda The Truman Show, dove il sole e la natura sono gestiti da arbitri esterni) finché in vita ne rimarrà uno solo. La lotta ovviamente viene ripresa dalle telecamere, con il regista della trasmissione che è legato strettamente alle volontà del governatore-dittatore (altro che la RAI).

Sono molte le scene sgradevoli, angoscianti, folli, tutte però inquadrate in un contesto di accettata normalità, con i protagonisti che non riescono a smuovere né le loro coscienze né quelle della popolazione oppressa. Di fatto il tributo di sangue non è legato a nessuna religione nata in un contesto post-apocalittico, ma ad una scelta puramente "umana" da parte dei governatori di questi fanta-US per punire quelle regioni che si erano ribellate più di 70 anni prima. Mi dicono dalla regia che addirittura il film (tratto da un libro-trilogia) è stato visto in chiave libertaria, con seguito di polemiche per la scelta di far uscire un film del genere proprio sotto campagna elettorale Romney Vs. Paul. Ma ieri notte, uscito dalla sala cinematografica, non è stata un'analisi politica a sfrucugliarmi la mente, né una masturbazione sociologica, né una caccia alle citazioni. Ciò che mi è venuto in mente pensando ad un'arena dove giovani disperati si uccidono pur sapendo che falliranno praticamente tutti nel tentare di sopravvivere è “la giornata di presentazione delle aziende”.

TA-DA-DAAAAN!

In tutte le università d'economia, in autunno ed in primavera, si tiene un evento veramente speciale dove decine delle migliori aziende nazionali ed internazionali vengono riunite in banchetti all'interno di un grande salone. Qui gli studenti possono conoscere le opportunità di carriera presso queste società, parlare con i responsabili delle risorse umane o con ex-studenti che testimoniano la loro esperienza, e soprattutto sperare di suscitare in loro un minimo interesse ed essere selezionati per un colloquio. Tuttavia, come in Hunger Games, i vincitori sono una percentuale veramente infinitesimale del numero di partecipanti all'evento. Come nel film, i più grandi prendono il naturale sopravvento sui più piccini, ovvero non c'è alcuna possibilità per studenti del primo e secondo anno di triennale di far colpo. Molti di loro non lo capiscono e si avventano ai banchetti con tanto di improbabili CV in mano; non riusciranno a lasciarne giù neanche uno. Poi ci sono le leggende: giù a finanza si diceva di un ragazzo che era riuscito ad ottenere diversi colloqui con importanti banche e società di revisione, ma le leggende sono solo portatrici di false speranze. Non è mai esistito nessuno, ripeto, nessuno che abbia ottenuto uno stage al primo anno di università. Per le matricole il mio consiglio da sopravvissuto è lasciar perdere le armi e cercare di accalappiarsi in qualche modo i mezzi di sopravvivenza più noti come “gadgets”. Per esempio: le matite riciclate dai pezzi di compact disc di KPMG, gli ombrelli di Bloomberg, le magliette di BMW, le scatolette della Manzotin, le matite fenomenali della IGuzzini, le tazze delle investment banks. Su tutti: le immancabili caramelle alla menta di Mazars, nella loro pratica scatoletta di metallo.

Purtroppo il disinteresse continua anche negli anni a seguire. Le possibilità per uno stage al terzo anno di triennale ci sono, ma sono rare come uno scontrino fiscale. Per di più c'è gente che spreca energie preziose volando come falene verso lampade roventi: uno su tutti il desk di Abercrombie&Fitch, che per di più dà soltanto un misero e vuoto sacchettino di carta. Male, molto male. Meglio concentrarsi sulle grandi aziende che ogni anno assumono in stage così tanta gente che vanno bene pure quelli laureati in lettere. Occhio però: quando diventano troppo grosse cominciano a proporre i loro fottuti “graduate programs”, ovvero ulteriori lotte con candidati di altre università, il che è come inserire all'interno del sanguinoso combattimento di Hunger Games una sotto-sfida tipo Coppa Italia, tanto estenuante quanto demotivante.

Poi, dopo i piccoli e i mezzani, ci sono i grandicelli. Questi sono già iscritti alla laurea magistrale ma sono ancora al primo anno: il CV comincia a diventare interessante e sono abbastanza smaliziati per capire come muoversi. Tuttavia incontrano uno scoglio perfido ed inatteso, il “con fine assunzione”. Questo “con fine”, che scritto tutto attaccato fa venire in mente un burrone dove tutti prima o poi finiscono per cadere, è la clausola bastarda che caratterizza gli stage offerti dalle società presenti alla giornata d'incontri. Se tu sei ancora al primo anno di università non puoi ottenere uno stage perché il fine di questo è l'assunzione, e dunque al termine dell'esperienza tu devi essere già laureato! A quel punto, quando cinque responsabili delle risorse umane ti ripetono questo mantra, non ti rimane che dedicare la giornata a fregare creme per il viso della Unilever e biro della GE.

Ed ecco arrivati ai potenziali vincitori: i laureandi di specialistica. Questi hanno le carte in regola per portarsi a casa un colloquio: hanno quasi finito gli esami, il CV è ricco, si sono rotti le palle di studiare e vogliono – per questioni direi fisiologiche – entrare nel mondo del lavoro. Entrano gajardi nel salone, schifano i gadgets e con aria di chi la sa lunga bazzicano tra i banchetti lasciando che siano i responsabili delle risorse umane a cercarli. I fogli con scritta tutta la loro brillante vita vengono finalmente presi in considerazione, e giurerebbero di averli visti raccogliere in maniera educata a differenza di quanto avviene con i curricula delle matricole, accartocciati davanti ai loro occhi in lacrime e buttati in cartone con scritto “Carta da riciclare per le agendine di Goldman Sachs”. Ma qui, come in Hunger Games – SPOILER – scatta la trappola malefica, l'intervento esterno che cambia improvvisamente le regole del gioco, la mano invisibile del direttore di laurea! Egli, per sadici motivi tramutati in regole scritte ed accettate come naturali dal sottomesso giocatore dell'arena, decide che lo stage offerto non rientra nei parametri del corso di laurea, e per questo ne rifiuta il riconoscimento curriculare.

Dopo cinque anni di combattimenti, lo studente insanguinato che sperava di aver finalmente vinto viene colpito alle spalle dall'arbitro che è anche il manovratore dell'arena. Il più delle volte entra in un tunnel di follia, gettandosi nelle braccia del primo che capita, sia esso una società di revisione o il calzolaio di Via 30 Febbraio. Altri, più stoicamente, capiscono che era il loro destino e lo accettano, asciugandosi le lacrime con il biglietto da visita del tizio di Carrefour. Ma gli eletti, loro no. Loro prendono la loro roba e se ne vanno come se niente fosse, ma non prima di aver preso la loro annuale confezione di caramelle di Mazars. Che quest'anno, tra l'altro, facevano anche un po' schifo.


Dan Marinos

domenica 6 maggio 2012

La balena è un pesce. E con l'euro costa di più.




Nel capitolo XXXII di Moby Dick il protagonista del romanzo, Ismaele, ci regala una sua personale classificazione e descrizione degli animali che egli ritiene rientrino sotto il termine generico di “balena”. Già in altri capitoli del libro il marinaio narratore fa riflessioni critiche su argomenti non prettamente di sua competenza citando fonti, autori ed opere che stonano con l’immagine di base che il lettore ha di un semplice mozzo del diciannovesimo secolo; sarà la cultura di Melville a riflettersi sul suo personaggio? Può darsi, ma alcuni ritengono che Ismaele sia comunque abbastanza indipendente dall’autore. Ad ogni modo, che sia Ismaele o l’autore a parlare, il capitolo in questione ci regala una perla di alta comicità popolare, una metafora della distanza tra professionista e opinione pubblica che è valida tutt’ora. Ad un certo punto infatti il marinaio dice:

Nel suo Sistema della natura (1766) Linneo dichiara: “Io qui separo le balene dai pesci” […] Linneo espone come segue i motivi in base ai quali vorrebbe bandire le balene dalle acque: “Per il cuore caldo e biloculare, i polmoni, le palpebre mobili, gli orecchi cavi, il penem intratem feminam mammis lactantem” (per il pene che entra nella femmina, che allatta con le mammelle n.d.t.), e per finire “ex lege naturae jure meritoque” (per legge di natura giustamente e  a buon merito n.d.t)”.

Pare dunque una spiegazione seria, motivata e scientifica di cosa siano le balene. Ismaele invece la pensa così:

Ho sottoposto tutto questo ai miei amici Simeon Macey e Charley Coffin di Nantucket, miei compagni di mensa in un certo viaggio, ed entrambi si sono trovati d’accordo nel dire che le ragioni elencate erano del tutto insufficienti. Charley ha pure ipotizzato, da profano, che erano tutte sciocchezze. Sia noto che, astenendomi da qualsiasi discussione, io sostengo il buon vecchio assunto che la balena è un pesce, e chiedo al santo Giona di appoggiarmi. […] Per dirla in due parole, una balena è un pesce che sfiata e ha la coda orizzontale.

Ismaele, ascoltami. Linneo non è un pirla. Lo conosco, è uno che ha studiato,  uno che meriterebbe il nobel retroattivo, per intenderci. Ho capito che tu e Simeon Macey e Charley Coffin avete viaggiato e visto più balene di lui, però a lui è bastata vederne una o due per vederci giusto. Dovete arrendervi all’evidenza dei dati scientifici che voi stessi avete davanti agli occhi ma che decidete comunque di ignorare. Un po’ come con l’inflazione.

Chiedete a qualsiasi persona sufficientemente vecchia da aver vissuto attivamente il passaggio dalla lira all’euro, quale fu l’effetto sui prezzi di tale cambiamento. Molto probabilmente vi risponderà che i prezzi aumentarono tantissimo, tanto da riassumere il concetto in “1 € = 1.000 lire”. Eppure non può essere davvero andata così: l’inflazione misurata fu relativamente bassa e i tassi d’interesse erano ben diversi da  quelli degli anni ’70. Del resto l’obbiettivo principe della Banca Centrale Europea è un tasso d’inflazione prossimo al 2%. Chi ha ragione dunque? L’opinione pubblica o l’ISTAT? Una ricerca molto interessante di Del Giovane e Sabbatini, contenuta nel libretto “L’euro e l’inflazione”, spiega i motivi della divergenza tra il tasso d’inflazione misurato e quello percepito dall’opinione pubblica italiana. Le cause sono riassunte in:
1)      Andamento prezzi
a.       Frequenza acquisti. I prezzi dei beni e servizi acquistati più frequentemente (ma per importi relativamente bassi) hanno subito un significativo rialzo tra il 2000 e il 2003, a fronte di un tasso di inflazione sostanzialmente stabile o decrescente per quei beni che vengono comprati con bassa frequenza ma che pesano maggiormente nel paniere dell’ISTAT.
b.      Distribuzione della variazione di prezzo. Un numero sempre più elevato di beni ha subito variazioni di prezzo estreme e tuttavia di segno opposto, finendo per compensarsi in un livello medio stabile. Se le famiglie assegnano un peso maggiore agli incrementi e percepiscono in maniera minore le riduzioni, succede che a parità di inflazione media quella percepita aumenta.
c.       Paniere medio e panieri individuali. Il paniere costruito dall’ISTAT è più o meno significativamente diverso da quello specifico di ogni famiglia. Un caso in cui la divaricazione tra i due panieri può essere molto forte riguarda beni o servizi che sono molto rilevanti per gli individui che li acquistano, ma gli individui stessi sono una percentuale comunque bassa all’interno degli “standard” dell’ISTAT e incidono in misura modesta sull’inflazione media (per es. i canoni di locazione con il 20% delle famiglie vive in affitto, un peso nel paniere pari a 3,1%, e un aumento dei prezzi medio del 14% tra 2002 e 2000).
2)      Condizione economica individuale. I consumatori confondono le cause di un impoverimento del potere d’acquisto. Le differenze negli andamenti dei redditi familiari negli anni recenti si sono riflesse sull’incidenza della povertà relativa per le varie categorie di lavoratori.
3)      Un’ assidua attenzione al fenomeno da parte dei media. Su questo punto sono stati analizzati gli articoli pubblicati dal Sole24Ore e dal La Stampa. Gli articoli si sono caratterizzati per un certo sensazionalismo e soprattutto “nell’enfasi assegnata alle critiche delle metodologie seguite dall’ISTAT e alle stime dell’inflazione di altra fonte”. Tuttavia il rapporto causa-effetto tra l’attenzione posta dai media e la percezione sull’inflazione può essere bidirezionale, con i due elementi che si alimentano vicendevolmente.
4)      Arrotondamenti e memoria dei prezzi in lire. “In Italia i prezzi in euro sarebbero stati valutati convertendoli mentalmente in lire a un cambio di 2.000 lire per euro, comportando un arrotondamento del 3.2% che, aggiunto all’inflazione misurata, implicherebbe per il 2002 un’inflazione percepita più che doppia rispetto a quella misurata”.

Di fronte a questi punti, arricchiti di dati e tabelle, credete forse di poter convincere i vostri intervistati che i prezzi, in media, non sono aumentati così tanto? Scordatevelo. L’opinione pubblica è uno zoccolo duro che i professionisti a fatica scalfiscono. E questo vale non solo per l’economia, ma anche per le scienze naturali e a volte perfino nell’arte e nella letteratura. La percezione sensoriale domina (del resto Draghi “non è mai andato a fare la spesa e non sa quanto costa un litro di latte”), tanto più se alimentata da megafoni mediatici, politici o antipolitici che siano: la parola non passa più all’esperto, rimane ai conduttori. Al massimo, gli unici commentatori tecnici accettati sono quelli che fomentano il pubblico, per esempio accusando i fantomatici speculatori del crollo di un listino azionario; come se Pizzul, di fronte ad un goal palesemente in fuorigioco e per questo motivo annullato dicesse che i difensori si sono comportati antisportivamente – anzi, illegalmente – tenendo la linea alta contro la volontà del tifoso del “giuoco calcio bene comune”.

Concludiamo belli ottimisti però. Nonostante tutto oggi sappiamo che la balena è un fottuto mammifero, che la Terra è rotonda e che il Sole sta al centro. Forse verrà il giorno in cui sapremo la verità anche in campo economico; probabilmente avverrà tra secoli, ma non importa. Per ora non possiamo far altro che borbottare in mezzo ad un’ opinione pubblica antipolitica che continua a credere che la balena è un pesce e contro una politica che, proprio perché sa che è un mammifero, tenta ogni giorno di farla camminare a terra.

 Dan Marinos