venerdì 13 luglio 2012

La nuova legge sui partiti che i giornali (mi) hanno taciuto


Una sfida tra me e loro. 



PREMESSA

Capita più o meno ad ogni laureando di passare dei momenti orribili durante la scrittura della tesi. Mi sto riferendo in particolare a singoli eventi che accadono quando il lavoro è già inoltrato e la struttura d’indagine già decisa e che minano le basi su cui si è costruito tutto, minacciando la distruzione e il conseguente rifacimento di tutte le analisi già fatte e di tutte le pagine già scritte. In campo economico, tali accadimenti sono classificabili in due categorie:

1.       Vengono scoperti paper, tesi e ricerche che sono identiche al quel modello che si era ideato credendo fosse originale e clamorosamente geniale. Ovviamente la scoperta avviene quasi per sbaglio e quando la ricerca bibliografica è già stata completata;
2.       Succedono cambiamenti in corso d’opera della normativa che regola tutta l’area d’indagine, e che quindi sputtanano tutte le considerazioni e i commenti fatti su una situazione che si credeva corrente e che invece è obsoleta.

Il secondo punto riguarda il mio caso. Non che mi voglia lagnare: come detto, queste cose capitano a  tutti, e il mio è soltanto un esempio che credo valga la pena raccontare.

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Ieri ero felice perché stavo mettendo il punto finale alla prima metà della mia tesi di laurea. Forse vi ricorderete, ne avevo già parlato qui: per chi non si ricordasse o non avesse letto l’articolo precedente, dirò semplicemente che il titolo – già depositato – è: La revisione contabile dei bilanci dei partiti politici. Avevo scritto già un bel pezzo: l’introduzione, il percorso storico legge per legge, l’analisi comparativa  con le normative europee e le critiche maggiori al sistema, che credevo si fosse fermato con la legge n.2 del 1997. Tutte le pagine, dalla prima all’ultima, erano scritte in modo che fosse evidente la scandalosa situazione in cui ci trovavamo, buttando inoltre qua e là qualche indizio sulla soluzione ottimale, tipo Pollicino che semina sassolini per trovare la via di casa. Erano suggerimenti importanti, anche perché avrebbero aperto le porte a tutta la seconda metà del lavoro: in particolare, veniva mostrata la necessità di far intervenire le società di revisione nel controllo contabile dei partiti.

Lo ammetto: sapevo che in Parlamento si stava già discutendo di questa soluzione. Sapevo anche che nella proposta firmata Alfano – Bersani – Casini veniva richiesto a chiare lettere l’obbligo ai partiti di affidarsi ai grandi auditors del registro CONSOB. Lo sapevo, ma ero certo che i parlamentari italiani avrebbero impiegato millenni prima di formulare il testo definitivo, così da arrivare ad Ottobre, periodo di laurea, senza problemi: male che andava, la legge sarebbe stata emanata poco tempo dopo concedendomi così lo status di Messia; not bad. “Ad ogni modo” pensavo, “l’argomento in questione è di primaria importanza visto che oltre che il controllo viene riformato il finanziamento pubblico ai partiti, tema caldo per l’opinione pubblica. Se succede qualcosa, i giornali ne parleranno sicuramente”.

Giovedì 5 Luglio 2012 il Senato ha approvato definitivamente il disegno di legge a.c. 3321. Lunedì 9 Luglio la Gazzetta Ufficiale è stata lieta di pubblicare la nuova legge 96/2012 che riforma completamente la materia in questione. E sono piovute bestemmie. Ho controllato gli archivi del Corriere.it: il nulla. Il Giornale, Libero, l’Unità: zero. Il post.it, mio adorato zibaldone di notizie: vuoto. Rintraccio la notizia nell’archivio di Repubblica (del cui sito normalmente guardo i video buffissimi sulla destra, e basta): chi l’ha scritto si è concentrato quasi esclusivamente sul fatto che i fondi tagliati finiranno alle zone terremotate, e soltanto 15 stronzi l’hanno condiviso su Facebook. La cosa più divertente? Scoprire che la soluzione ottimale che proponevo nella tesi è scritta nero su bianco all’art.9 della nuova legge, bruciando completamente tutti i miei suggerimenti: finalmente i bilanci dei partiti saranno controllati da società di revisione iscritte al registro CONSOB. Esatto, proprio E&Y, PwC, KPMG, Deloitte, eccetera!

Ora, dopo aver cambiato completamente la prospettiva delle pagine già scritte, mi trovo nella situazione di dover effettuare un’analisi senza alcun supporto bibliografico: in altre parole, il destino ha lasciato un povero stronzo laureando in amministrazione, finanza aziendale e controllo, totalmente libero di dire quello che pensa di questa nuova legge. E allora scateniamoci.

Il testo è particolarmente lungo, e forse per questo verrà analizzato su questo blog a puntate. C’è la parte sul contributo pubblico, che è stato dimezzato per davvero (da adesso ammonta ad un totale di 91mln annui) e che finalmente viene chiamato, anche se solo per il 30%, con il termine di cofinanziamento (il restante 70% rimane un falso “rimborso delle spese”). I partiti vengono resi un pelo più uniformi, con l’obbligo di dotarsi di un atto costitutivo e di uno statuto redatti in forma di atto pubblico. Poi c’è la parte dei controlli: una volta avevamo 4 organismi inutili, ora dovremmo averne 5, di cui 3 uguali a quelli di prima, 1 riformato (ma che mantiene la sua quasi-inutilità) e l’ultimo, composto dalle società di revisione, che potrebbe rivelarci delle sorprese. Per quanto riguarda i rendiconti non è stato fatto nulla, nessun principio contabile è stato aggiunto a quei pochi che già c’erano.

Vedo che ho scritto già abbastanza, ma non vi voglio lasciare andare così, senza nulla di preciso sulla nuova legge (che magari vi siete letti tutto ingannati da un titolo sensazionale). Allora stringete i denti e parliamo della trasparenza: i bilanci dei partiti saranno finalmente accessibili a tutti! Mentre prima venivano pubblicati solo sulla Gazzetta Ufficiale e su qualche quotidiano nazionale, ora i partiti sono obbligati a renderli disponibili sul proprio sito internet. Potremo vedere finalmente qualcosa anche noi poveri sfigati che manteniamo i partiti, i movimenti e le fondazioni attraverso i fondi pubblici! Solo un’avvertenza però: prendete il calendario in mano. La legge impone che i rendiconti siano chiusi al 31/12 (ipotizziamo dell’anno X); questi vanno consegnati – compresa l’opinion delle società di revisione – entro il 15/6/X+1 alla Commissione per la trasparenza e il controllo dei partiti (quell’ente riformato e semi-inutile di cui vi accennavo). Questa effettua tutti i suoi controlli ed entro il 15/2/X+2 avvisa i partiti se ci sono state irregolarità; in caso affermativo, vanno corrette entro il 31/3/X+2. A questo punto vediamo cosa dice la legge riguardo la pubblicazione dei bilanci: “Nei siti internet dei partiti e dei movimenti politici, entro il 10 luglio di ogni anno, nonché in un’apposita sezione del sito internet della Camera dei deputati, dopo la verifica di cui al comma 5 (cioè i controlli della Commissione di cui sopra), sono pubblicati […] il rendiconto e i relativi allegati”. Dunque, visto che come detto al comma 5 si fa riferimento come scadenza al 15/2/X+2, le interpretazioni possibili sono due: o i bilanci vengono pubblicati il 10 Luglio X+1 senza però essere stati controllati della Commissione e dunque potenzialmente contenenti errori, o vengono pubblicati assieme alla relazione della Commissione il 10 Luglio X+2, praticamente un fottuto anno e mezzo dopo la chiusura di bilancio.

Cazzo, tra la chiusura delle scritture contabili e la pubblicazione dei bilanci passa abbastanza tempo da far confluire Rutelli in un nuovo partito di destra.

Dan Marinos

domenica 8 luglio 2012

Più che un taglio vorrei una piega




Sono andato a farmi tagliare i capelli, e per quest’estate dovrei essere apposto. Sono contento perché ho pagato solo 10€ per un taglio ben fatto; considerando che a Crema si paga tra i 18€ e i 20€, direi che si tratta di una di quelle mitologiche riforme a costo zero o quasi. Devo ammettere però che c’è stato da litigare tra me e il barbiere; tutto è iniziato quando mi è stato chiesto che tipo di acconciatura volessi. Io ho detto che una sistemata sarebbe bastata, giusto per non patire il caldo estivo.
– L’importante è che non sia un taglio da prete.
– Va bene, ho capito – ha detto l’uomo: –Tagliamo il 20% dei superiori e il 10% di quelli base.
Io mi sono girato, che non credevo di aver capito bene. Lui prontamente mi ha aggiunto:
– E se vuoi mandiamo quelli vecchi in mobilità.
Continuavo a non capire, quindi gli ho semplicemente detto che bastava che me li accorciasse un po’, senza inventarsi delle cose strane. Lui mi ha guardato come se avessi detto qualcosa di estremamente offensivo, quasi ad insultare la sua onestà intellettuale di parrucchiere:
– No – ha sibilato digrignando i denti: –Stavolta sarà un taglio importante, storico.
A quel punto mi sono seriamente spaventato delle sue intenzioni, perché non avevo intenzione di andare in giro con la testa che sembrava il culo di un matto. Ho fatto per alzarmi dalla poltroncina ma sono stato bloccato dall’assistente, una donna con una fessura tipo salvadanaio incisa tra le sopracciglia:
– Sono troppi! Troppi! Guardali, sono più della media europea. Addirittura quelli sulla nuca sono di più che quelli in Inghilterra!
Nel frattempo il barbiere mi ha annusato i capelli:
– E senti qua, profumo di balsamo e shampoo! Che spreco di fringe benefits, tutto ciò altro non fa che consumare la base, il cuoio capelluto, minacciando la crescita del lungo termine. Cosa vogliamo diventare, pelati?!
Lo ammetto, le loro argomentazioni erano piuttosto convincenti e stavo per cedere volentieri la mia chioma alla loro rivoluzionaria hair review. Tuttavia, per curiosità, ho chiesto quale fosse la loro strategia per bloccare la crescita dei capelli e mantenere per sempre con il modello ottimale. Il barbiere, che aveva già le forbici in mano, mi ha guardato sicuro di sé:
– Te l’ho detto, tagliamo il 20% di qua e il 10% di là. Poi sistemiamo questa parte con un po’ di mobilità e al massimo accorpiamo quelli dislocati unendoli con un po’ di gel.
– Ho capito che me li tagli, ma non basta. Sono capelli, sono destinati a crescere comunque. Servono azioni sul sistema vero e proprio. Perché crescono? Come vengono assunti? Chi li assume? E perché qua sotto continuano a crescere peli superflui, mentre la stempiatura avanza paurosamente? Insomma, lo facciamo un bell’intervento anche sulle politiche d’inserimento e sulla governance dell’amministrazione? Altrimenti il taglio non serve a un cazzo e a Settembre sono di nuovo qua.
– Politiche? Governance?...Questi tagli ti faranno risparmiare un sacco, otterrai l’efficienza desiderata. E’ un taglio che è stato imposto dalla moda europea.
– Ma quale moda europea! In Grecia hanno tosato un sacco di persone per poi trovarsi altri 70.000 capelli coltivati di nascosto da qualche irresponsabile pro-Crescina in cerca di consensi. Senti, dell’efficienza che dura un mese non me ne faccio niente, più che un taglio voglio una bella piega, di quelle che portano davvero l’efficienza, sia sul corto estivo che sul lungo invernale. Ce l’hai un’alternativa da propormi?
Mi ha guardato con uno sguardo mezzo triste mezzo vuoto e a sussurrato:
– Beh…Oddio…ci sarebbe il taglio da prete.
– Ancora? Vabbè dai, vada per il taglio da prete. Che cazzo però eh, finisce sempre così! 

Dan Marinos

lunedì 2 luglio 2012

Il discorso di Bob Kennedy è una cagata pazzesca!

Bob è felice, ha scoperto un modo per rafforzare la solidità dei valori familiari. E' tra le gambe della Monroe.


Circa un mese fa Corrado Augias introdusse una puntata del suo programma su Rai Tre con l'arcinoto discorso di Bob Kennedy sul prodotto interno lordo:

Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell'ammassare senza fine beni terreni.
Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell'indice Dow-Jones, nè i successi del paese sulla base del Prodotto Interno Lordo.  
Il PIL comprende anche l'inquinamento dell'aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l'intelligenza del nostro dibattere o l'onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell'equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.
Può dirci tutto sull'America, ma non se possiamo essere orgogliosi di essere americani.

Augias è un gigante della cultura, e non mi sento di non perdonargli il brillio di soddisfazione nei suoi occhi alla fine del discorso. Ma tutti gli altri esseri umani... "Discorsi del genere dovrebbero farli ascoltare dal primo giorno delle elementari fino al giorno della seduta di laurea", scrive MrBorghes su Youtube. Addirittura, durante lo stage in revisione, ho trovato una copia del discorso incollata dentro un armadio che conteneva le fatture: avrei preferito trovarci un calendario di Brigitte Bardot in versione contemporanea. Kennedy ha generato un incredibile esempio di allucinazione collettiva ottenuta attraverso un discorso manipolatorio che dovrebbe essere incorniciato nel capitolo principale del manuale della cattiva retorica. Basterebbe conoscere il concetto di PIL, la sua triplice natura, la sua composizione in formula. Non stiamo parlando di definizioni filosofiche sulla sostanza, l'anima e l'esistenza di Dio: il PIL è il totale dei redditi/del valore aggiunto generato/della produzione finale di una nazione. Non stiamo parlando di integrali e arcotangenti, ma di una semplicissima addizzione: PIL = consumi + investimenti + spesa pubblica al netto delle tasse + saldo import/export. 

Chi osanna questo discorso percepisce un messaggio di questo tipo: "Il PIL è sbagliato perchè il suo perseguimento nasconde i veri bisogni e obiettivi delle persone". Ma l'errore sta nel vedere il PIL (e la sua crescita) come target, mentre invece è un semplice strumento di misura. I meteorologi, quando usano i termometri, non si prefiggono di modificare il clima: quello, al massimo, è il mestiere di chi ha il potere per impattare sull'inquinamento. Come il PIL non misura la bellezza della poesia (posto che chiunque intenda misurare la bellezza della poesia o la gioia dei momenti di svago è un pirla), il termometro non misura il calore umano nei rapporti intrapersonali: non è quello il suo scopo. "Ma cosa scrivi, che su tutti i giornali dicono che l'obiettivo principale è la crescita (del PIL)?". Certamente, ma di nuovo, il PIL è soltanto uno strumento di misura, e non un manuale di politica economica; egli dice che per farlo crescere basta intervenire su uno di quegli addendi (o sulle loro aspettative, ma non complichiamo le cose), ma non ci dice come intervenire. La spesa pubblica può aumentare sia pagando gli stipendi di centomila soldati che combattono una guerra sbagliata, sia sussidiando centomila disoccupati (tranquilli amici liberali, era solo un esempio). Tocca alle persone che hanno in mano il joystick scegliere come giocare affinchè il gioco duri il più possibile, e non al joystick. 


I Bob-allucinati sostengono comunque che cercare soltanto la crescita economica è sbagliato e miope. Essendo il PIL uguale al reddito di una nazione, è una versione alternativa del motto: i soldi non danno la felicità. Sarà anche vero, ma di certo sono due cose altamente correlate. Prendiamo le classifiche dei Paesi per reddito pro capite, e confrontiamole con quelle per i diritti umani, per la libertà di stampa, per la qualità d'informazione, per l'emancipazione femminile. Scommetto che troveremo più o meno gli stessi paesi al vertice, a metà e alla fine di ogni classifica; evidentemente si cresce economicamente intervenendo sull'onestà della pubblica amministrazione, sull'intelligenza dei dibattiti, sulla giustizia dei tribunali. Altrimenti arrendiamoci ad essere inutili come le squadre che non puntano né alla vittoria né alla salvezza; avremo l'orgoglio delle muffe, e il PIL continuerà a dirci tutto di noi. E noi continueremo a non saperlo leggere. 

Dan Marinos