domenica 13 maggio 2012

Hunger Jobs

Una classica immagine da risorse umane. In realtà è una scena tagliata di Hunger Games.


Ieri sera sono andato a vedere Hunger Games. Bello. Personalmente ho sentito molte persone parlarne alla radio ma non ho ancora sentito nessuno che sia andato a vederlo; pare che il film della settimana sia invece The Avengers. Comunque lo ammetto, questo film mi ha fomentato: probabilmente ci ho visto molti più spunti, argomenti e riflessioni di quanto gli autori avessero intenzione di far intendere, ma tant'è.
La trama non è semplice, ma ha infiniti richiami a storie già lette e viste. In un futuro impreciso dodici regioni di una nazione che sa di U.S. sono costrette ogni anno a estrarre a sorte un ragazzo e una ragazza dai 12 ai 18 anni per un tributo. I nominati dovranno combattere in una foresta-arena (ricostruzione che ricorda The Truman Show, dove il sole e la natura sono gestiti da arbitri esterni) finché in vita ne rimarrà uno solo. La lotta ovviamente viene ripresa dalle telecamere, con il regista della trasmissione che è legato strettamente alle volontà del governatore-dittatore (altro che la RAI).

Sono molte le scene sgradevoli, angoscianti, folli, tutte però inquadrate in un contesto di accettata normalità, con i protagonisti che non riescono a smuovere né le loro coscienze né quelle della popolazione oppressa. Di fatto il tributo di sangue non è legato a nessuna religione nata in un contesto post-apocalittico, ma ad una scelta puramente "umana" da parte dei governatori di questi fanta-US per punire quelle regioni che si erano ribellate più di 70 anni prima. Mi dicono dalla regia che addirittura il film (tratto da un libro-trilogia) è stato visto in chiave libertaria, con seguito di polemiche per la scelta di far uscire un film del genere proprio sotto campagna elettorale Romney Vs. Paul. Ma ieri notte, uscito dalla sala cinematografica, non è stata un'analisi politica a sfrucugliarmi la mente, né una masturbazione sociologica, né una caccia alle citazioni. Ciò che mi è venuto in mente pensando ad un'arena dove giovani disperati si uccidono pur sapendo che falliranno praticamente tutti nel tentare di sopravvivere è “la giornata di presentazione delle aziende”.

TA-DA-DAAAAN!

In tutte le università d'economia, in autunno ed in primavera, si tiene un evento veramente speciale dove decine delle migliori aziende nazionali ed internazionali vengono riunite in banchetti all'interno di un grande salone. Qui gli studenti possono conoscere le opportunità di carriera presso queste società, parlare con i responsabili delle risorse umane o con ex-studenti che testimoniano la loro esperienza, e soprattutto sperare di suscitare in loro un minimo interesse ed essere selezionati per un colloquio. Tuttavia, come in Hunger Games, i vincitori sono una percentuale veramente infinitesimale del numero di partecipanti all'evento. Come nel film, i più grandi prendono il naturale sopravvento sui più piccini, ovvero non c'è alcuna possibilità per studenti del primo e secondo anno di triennale di far colpo. Molti di loro non lo capiscono e si avventano ai banchetti con tanto di improbabili CV in mano; non riusciranno a lasciarne giù neanche uno. Poi ci sono le leggende: giù a finanza si diceva di un ragazzo che era riuscito ad ottenere diversi colloqui con importanti banche e società di revisione, ma le leggende sono solo portatrici di false speranze. Non è mai esistito nessuno, ripeto, nessuno che abbia ottenuto uno stage al primo anno di università. Per le matricole il mio consiglio da sopravvissuto è lasciar perdere le armi e cercare di accalappiarsi in qualche modo i mezzi di sopravvivenza più noti come “gadgets”. Per esempio: le matite riciclate dai pezzi di compact disc di KPMG, gli ombrelli di Bloomberg, le magliette di BMW, le scatolette della Manzotin, le matite fenomenali della IGuzzini, le tazze delle investment banks. Su tutti: le immancabili caramelle alla menta di Mazars, nella loro pratica scatoletta di metallo.

Purtroppo il disinteresse continua anche negli anni a seguire. Le possibilità per uno stage al terzo anno di triennale ci sono, ma sono rare come uno scontrino fiscale. Per di più c'è gente che spreca energie preziose volando come falene verso lampade roventi: uno su tutti il desk di Abercrombie&Fitch, che per di più dà soltanto un misero e vuoto sacchettino di carta. Male, molto male. Meglio concentrarsi sulle grandi aziende che ogni anno assumono in stage così tanta gente che vanno bene pure quelli laureati in lettere. Occhio però: quando diventano troppo grosse cominciano a proporre i loro fottuti “graduate programs”, ovvero ulteriori lotte con candidati di altre università, il che è come inserire all'interno del sanguinoso combattimento di Hunger Games una sotto-sfida tipo Coppa Italia, tanto estenuante quanto demotivante.

Poi, dopo i piccoli e i mezzani, ci sono i grandicelli. Questi sono già iscritti alla laurea magistrale ma sono ancora al primo anno: il CV comincia a diventare interessante e sono abbastanza smaliziati per capire come muoversi. Tuttavia incontrano uno scoglio perfido ed inatteso, il “con fine assunzione”. Questo “con fine”, che scritto tutto attaccato fa venire in mente un burrone dove tutti prima o poi finiscono per cadere, è la clausola bastarda che caratterizza gli stage offerti dalle società presenti alla giornata d'incontri. Se tu sei ancora al primo anno di università non puoi ottenere uno stage perché il fine di questo è l'assunzione, e dunque al termine dell'esperienza tu devi essere già laureato! A quel punto, quando cinque responsabili delle risorse umane ti ripetono questo mantra, non ti rimane che dedicare la giornata a fregare creme per il viso della Unilever e biro della GE.

Ed ecco arrivati ai potenziali vincitori: i laureandi di specialistica. Questi hanno le carte in regola per portarsi a casa un colloquio: hanno quasi finito gli esami, il CV è ricco, si sono rotti le palle di studiare e vogliono – per questioni direi fisiologiche – entrare nel mondo del lavoro. Entrano gajardi nel salone, schifano i gadgets e con aria di chi la sa lunga bazzicano tra i banchetti lasciando che siano i responsabili delle risorse umane a cercarli. I fogli con scritta tutta la loro brillante vita vengono finalmente presi in considerazione, e giurerebbero di averli visti raccogliere in maniera educata a differenza di quanto avviene con i curricula delle matricole, accartocciati davanti ai loro occhi in lacrime e buttati in cartone con scritto “Carta da riciclare per le agendine di Goldman Sachs”. Ma qui, come in Hunger Games – SPOILER – scatta la trappola malefica, l'intervento esterno che cambia improvvisamente le regole del gioco, la mano invisibile del direttore di laurea! Egli, per sadici motivi tramutati in regole scritte ed accettate come naturali dal sottomesso giocatore dell'arena, decide che lo stage offerto non rientra nei parametri del corso di laurea, e per questo ne rifiuta il riconoscimento curriculare.

Dopo cinque anni di combattimenti, lo studente insanguinato che sperava di aver finalmente vinto viene colpito alle spalle dall'arbitro che è anche il manovratore dell'arena. Il più delle volte entra in un tunnel di follia, gettandosi nelle braccia del primo che capita, sia esso una società di revisione o il calzolaio di Via 30 Febbraio. Altri, più stoicamente, capiscono che era il loro destino e lo accettano, asciugandosi le lacrime con il biglietto da visita del tizio di Carrefour. Ma gli eletti, loro no. Loro prendono la loro roba e se ne vanno come se niente fosse, ma non prima di aver preso la loro annuale confezione di caramelle di Mazars. Che quest'anno, tra l'altro, facevano anche un po' schifo.


Dan Marinos

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