Otherwise, STRONG SELL. |
Venerdì il freno principale alla mia tesi di laurea, cioè
Facebook, si è finalmente quotato in borsa dopo secoli di bisbigli e
aspettative. Ogni singola azione è stata offerta a 38$, prezzo che praticamente
è rimasto invariato alla chiusura della borsa (38 virgola un “mi piace”)
nonostante uno strappo a 42$ durante la giornata. Il fatto che 38$ erano e 38$
sono rimasti è interessante e lascia aperte molte risposte (che verranno
confermate o sbugiardate nelle prossime settimane, se non nei prossimi anni).
Si potrebbe per esempio dire che le banche di investimento hanno perfettamente
azzeccato il valore che il mercato ritiene sia corretto per la società, evitando di lasciare
“sul tavolo dell’IPO” anche un solo dollaro; in altre parole l’offerta non era
affatto underpriced (tecnica ben illustrata dal manuale di Investment Banking
del buon Iannotta, avente come fine quello di aggraziarsi la domanda). I
fenomeni di underpricing erano particolarmente vivaci durante la dot.com
bubble, quando durante il primo giorno di contrattazione si poteva facilmente
osservare un incremento di prezzo di più del 100%. Con quello che è successo
a Facebook (col suo misero +0.6% a fine giornata) si potrebbe pure sperare che i
mercati abbiano imparato qualcosa, sempre che già 38$ per un’ azienda che lucra
sulle foto di me ubriaco non sia un prezzo troppo elevato. Magari era una
giornata sfortunata per un’IPO del genere, con Linkedin che ha punteggiato
un loffioso -5.65% Groupon che ha sganciato un -6.68% e Zynga che ha vomitato
il 13.42% di se stessa. Se l’addio al nubilato di Facebook si è concluso con un
totale immobilismo si spera almeno che la prima notte di nozze di Zuckerberg
abbia avuto erezioni migliori, di certo facilitate dal fatto che, intraday
return o meno, l’IPO del social network
ha comunque portato alle tasche del ricciolo fondi delle dimensioni di una mini-manovra
tremontiana.
Nel frattempo
qualcuno si domanda se il mondo virtuale stia per imporsi nuovamente sul
mercato come alla fine del vecchio millenio. Qualcuno ci crede, qualcuno no.
Una risposta è stata data ieri sera al Citi Field di New York, stadio di
baseball dove 40mila ebrei ortodossi si sono trovati per scegliere se
condannare o meno Internet. La loro risposta è stata: “Barabba!”. Come scrive il Corriere della Sera, i partecipanti
ritengono la rete un flagello sia per i contenuti porno sia per la corruzione dei
rapporti sociali e familiari perpetuata dai social network. Rapporti familiari
che per altro si basano comunque sulla comunicazione a distanza, visto che le
donne sono dovute rimanere nelle comunità ebraiche di NY a seguire la diretta
TV (così vuole la religione). Certo gli ebrei ortodossi non devono aver preso
molto bene l’IPO di Facebook, ma grazie a Dio esistono forze del bene pronte a
combattere le azioni di Satana. Per chiamarle non dovete pregare, non dovete
implorare, non dovete sacrificare vostro figlio Isacco: basta andare sul
mercato e comprarle.
Il Pax
Fund, l’Amana Fund, il Praxis Fund o l’Ave Maria
Investment Fund. Tu dimmi una religione e io ti trovo la
quotazione. I primi due tuttavia hanno profili poco ortodossi, o per lo meno così
appare dal loro sito internet. I principi religiosi alla base della selezione degli
investimenti non sono messi particolarmente in evidenza, e l’importanza
maggiore viene data ai prodotti offerti e alle loro performances.
Il Pax Fund venne fondato nel 1971 sotto
lo sguardo vigile dei principi della United Methodist Church; l’Amana Fund
segue i principi del “Halal investing”, ovvero le regole imposte dal Corano
sugli investimenti finanziari (niente interessi, niente società che offrono alcol,
pornografia, scommesse e niente banche). Ma che il Corano imponga esotiche strategie finanziarie lo sanno oramai anche i sassi del Sinai.
Molto più pubblicizzate sono le intenzioni degli anabattisti mennoniti
con il loro Everence Praxis Fund. Everence si definisce “a financial services organization based on the
idea that it is possible to incorporate your faith and values with your
decisions about money. We do this to follow the biblical instruction to be good
stewards” e servono non solo il loro gruppo religioso ma decine di altri
ordini, dal Old Order Amish alla Fellowship of Grace Brethern Curch: insomma, altro
che peanuts. Tra i loro prodotti spicca il Core Stock Fund, che evita i
produttori di armi, che investe in chi rispetta la santità della vita umana, e
che cerca aziende con una dannata “sound corporate governance”. Ma il migliore di tutti è senza dubbio l’Ave Maria Mutual
Fund, "the America largest of Catholic Mutual Funds". E qui non si scherza più. Il
loro prodotto “Catholic Values Fund” investe solo nelle società che rispettano
gli insegnamenti della Chiesa Cattolica Romana. Nell’advisory board lavorano personaggi come
Lou Holtz, “one of the most successful college football coaches of all time, a
football analyst for ESPN and a highly sought inspirational and motivational
speaker”, o come Bowie K. Kuhn, “Former Commissioner of Major League Baseball”,
o infine come Fratello John Riccardo e Thomas Moneghan, fondatore della Domino’s
Pizza.
Qui sotto il prospetto dei rendimenti dei fondi che avete
appena letto. E’ evidente che l’orgia peccaminosa dell’indice laico può
appagare soltanto nel breve termine, mentre i valori della fede vincono nei
secoli dei secoli. Redimetevi, prima del giudizio finale di una società di
rating ortodossa!
1yr
|
3yrs
|
5rys
|
10yrs
|
|
Amana Income Fund
|
-0,15
|
15,04
|
4,11
|
8,92
|
Pax Balanced Fund
|
-1,13
|
12,95
|
1,14
|
4,69
|
Everence Core Stock Fund
|
-0,53
|
14,98
|
-2,91
|
0,95
|
Ave Maria
Catholic Values Fund
|
0,60
|
21,73
|
1,20
|
6,40
|
S&P 500 Index
|
4,76
|
19,44
|
1,00
|
4,70
|
Dan Marinos
1,00
|
4,70
|
sei un mito ....
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