Nel capitolo XXXII di Moby Dick
il protagonista del romanzo, Ismaele, ci regala una sua personale
classificazione e descrizione degli animali che egli ritiene rientrino sotto il
termine generico di “balena”. Già in altri capitoli del libro il marinaio narratore
fa riflessioni critiche su argomenti non prettamente di sua competenza citando
fonti, autori ed opere che stonano con l’immagine di base che il lettore ha di
un semplice mozzo del diciannovesimo secolo; sarà la cultura di Melville a
riflettersi sul suo personaggio? Può darsi, ma alcuni ritengono che Ismaele sia
comunque abbastanza indipendente dall’autore. Ad ogni modo, che sia Ismaele o l’autore
a parlare, il capitolo in questione ci regala una perla di alta comicità
popolare, una metafora della distanza tra professionista e opinione pubblica
che è valida tutt’ora. Ad un certo punto infatti il marinaio dice:
Nel suo Sistema della natura (1766)
Linneo dichiara: “Io qui separo le balene
dai pesci” […] Linneo espone come segue i motivi in base ai quali vorrebbe
bandire le balene dalle acque: “Per il cuore caldo e biloculare, i polmoni, le
palpebre mobili, gli orecchi cavi, il penem intratem feminam mammis
lactantem” (per il pene che entra nella
femmina, che allatta con le mammelle n.d.t.), e per finire “ex lege naturae jure meritoque” (per legge di natura giustamente e
a buon merito n.d.t)”.
Pare dunque una spiegazione
seria, motivata e scientifica di cosa siano le balene. Ismaele invece la pensa
così:
Ho sottoposto tutto questo ai miei amici Simeon Macey e Charley Coffin
di Nantucket, miei compagni di mensa in un certo viaggio, ed entrambi si sono
trovati d’accordo nel dire che le ragioni elencate erano del tutto
insufficienti. Charley ha pure ipotizzato, da profano, che erano tutte
sciocchezze. Sia noto che, astenendomi da qualsiasi discussione, io sostengo il
buon vecchio assunto che la balena è un pesce, e chiedo al santo Giona di
appoggiarmi. […] Per dirla in due parole, una balena è un pesce che sfiata
e ha la coda orizzontale.
Ismaele, ascoltami. Linneo non è
un pirla. Lo conosco, è uno che ha studiato, uno che meriterebbe il nobel retroattivo, per
intenderci. Ho capito che tu e Simeon Macey e Charley Coffin avete viaggiato e
visto più balene di lui, però a lui è bastata vederne una o due per vederci
giusto. Dovete arrendervi all’evidenza dei dati scientifici che voi stessi
avete davanti agli occhi ma che decidete comunque di ignorare. Un po’ come con l’inflazione.
Chiedete a qualsiasi persona sufficientemente
vecchia da aver vissuto attivamente il passaggio dalla lira all’euro, quale fu
l’effetto sui prezzi di tale cambiamento. Molto probabilmente vi risponderà che
i prezzi aumentarono tantissimo, tanto da riassumere il concetto in “1 € = 1.000
lire”. Eppure non può essere davvero andata così: l’inflazione misurata fu relativamente
bassa e i tassi d’interesse erano ben diversi da quelli degli anni ’70. Del resto l’obbiettivo principe
della Banca Centrale Europea è un tasso d’inflazione prossimo al 2%. Chi ha
ragione dunque? L’opinione pubblica o l’ISTAT? Una ricerca molto interessante
di Del Giovane e Sabbatini, contenuta nel libretto “L’euro e l’inflazione”,
spiega i motivi della divergenza tra il tasso d’inflazione misurato e quello
percepito dall’opinione pubblica italiana. Le cause sono riassunte in:
1)
Andamento
prezzi
a.
Frequenza acquisti. I prezzi dei beni e servizi
acquistati più frequentemente (ma per importi relativamente bassi) hanno subito
un significativo rialzo tra il 2000 e il 2003, a fronte di un tasso di
inflazione sostanzialmente stabile o decrescente per quei beni che vengono
comprati con bassa frequenza ma che pesano maggiormente nel paniere dell’ISTAT.
b.
Distribuzione della variazione di prezzo.
Un numero sempre più elevato di beni ha subito variazioni di prezzo estreme e
tuttavia di segno opposto, finendo per compensarsi in un livello medio stabile.
Se le famiglie assegnano un peso maggiore agli incrementi e percepiscono in
maniera minore le riduzioni, succede che a parità di inflazione media quella
percepita aumenta.
c.
Paniere medio e panieri individuali. Il
paniere costruito dall’ISTAT è più o meno significativamente diverso da quello specifico
di ogni famiglia. Un caso in cui la divaricazione tra i due panieri può essere
molto forte riguarda beni o servizi che sono molto rilevanti per gli individui
che li acquistano, ma gli individui stessi sono una percentuale comunque bassa all’interno
degli “standard” dell’ISTAT e incidono in misura modesta sull’inflazione media (per
es. i canoni di locazione con il 20% delle famiglie vive in affitto, un peso nel
paniere pari a 3,1%, e un aumento dei prezzi medio del 14% tra 2002 e 2000).
2) Condizione economica individuale.
I consumatori confondono le cause di un impoverimento del potere d’acquisto. Le
differenze negli andamenti dei redditi familiari negli anni recenti si sono
riflesse sull’incidenza della povertà relativa per le varie categorie di
lavoratori.
3) Un’ assidua attenzione al fenomeno da
parte dei media. Su questo punto sono stati analizzati gli articoli
pubblicati dal Sole24Ore e dal La Stampa. Gli articoli si sono caratterizzati
per un certo sensazionalismo e soprattutto “nell’enfasi assegnata alle critiche
delle metodologie seguite dall’ISTAT e alle stime dell’inflazione di altra
fonte”. Tuttavia il rapporto causa-effetto tra l’attenzione posta dai media e
la percezione sull’inflazione può essere bidirezionale, con i due elementi che
si alimentano vicendevolmente.
4) Arrotondamenti e memoria dei prezzi in
lire. “In Italia i prezzi in euro sarebbero stati valutati
convertendoli mentalmente in lire a un cambio di 2.000 lire per euro,
comportando un arrotondamento del 3.2% che, aggiunto all’inflazione misurata,
implicherebbe per il 2002 un’inflazione percepita più che doppia rispetto a
quella misurata”.
Di fronte a questi punti,
arricchiti di dati e tabelle, credete forse di poter convincere i vostri
intervistati che i prezzi, in media, non sono aumentati così tanto?
Scordatevelo. L’opinione pubblica è uno zoccolo duro che i professionisti a
fatica scalfiscono. E questo vale non solo per l’economia, ma anche per le
scienze naturali e a volte perfino nell’arte e nella letteratura. La percezione
sensoriale domina (del resto Draghi “non è mai andato a fare la spesa e non sa
quanto costa un litro di latte”), tanto più se alimentata da megafoni
mediatici, politici o antipolitici che siano: la parola non passa più all’esperto,
rimane ai conduttori. Al massimo, gli unici commentatori tecnici accettati sono
quelli che fomentano il pubblico, per esempio accusando i fantomatici
speculatori del crollo di un listino azionario; come se Pizzul, di fronte ad un
goal palesemente in fuorigioco e per questo motivo annullato dicesse che i
difensori si sono comportati antisportivamente – anzi, illegalmente – tenendo la
linea alta contro la volontà del tifoso del “giuoco calcio bene comune”.
Concludiamo belli ottimisti però.
Nonostante tutto oggi sappiamo che la balena è un fottuto mammifero, che la
Terra è rotonda e che il Sole sta al centro. Forse verrà il giorno in cui
sapremo la verità anche in campo economico; probabilmente avverrà tra secoli,
ma non importa. Per ora non possiamo far altro che borbottare in mezzo ad un’
opinione pubblica antipolitica che continua a credere che la balena è un pesce e
contro una politica che, proprio perché sa che è un mammifero, tenta ogni
giorno di farla camminare a terra.
Dan Marinos