domenica 19 dicembre 2010

Articoletto sportivo per far passare il tempo


AVVISO:
L'Economostro viene da una settimana veramente impegnativa, e fino a ieri non ha avuto alcun modo di pensare ad un argomento da trattare questa settimana: molte idee, alcune molto valide (ma richiedono giorni di preparazione per formulazioni di ipotesi, verifica statistica, pubblicazione e ritiro del Nobel), altre piuttosto sciatte ma veloci da scrivere; mettiamo quindi le mani avanti avvisando e giustificando la scialbezza del seguente articolo (promettendo però maggiori returns a breve; insomma un articolo proprio carino, giuro). A proposito, si dice scialbezza, scialbaggine o  va bene anche "interessante come un commento tecnico di Marino Bartoletti"?

Nella mia scoglionaggine meritata dopo settimane di duro lavoro mi sono messo a guardare un pezzo Inter-Mazembe: davanti allo schermo e mangiando un pò di caramelle di santa lucia il mio cervello ha avviato un'analisi degli sport nelle macroregioni mondiali confrontati con le economie delle stesse. Per esempio, conta di più la concorrenza o il monopolio? Conta di più l'innovazione o si punta verso settori tradizionali e maturi? Evitiamo tra l'altro di considerare gli sport praticati in maniera uniforme in tutto il globo (fra questi rientrano più o meno tutti gli sport individuali, come il tennis).

Per esempio, in europa dominano oligopolio, scarsa concorrenza interna nonostante l'alta mobilità della forza lavoro (o meglio, la difficoltà di mantenere un contratto costante e stabile tra lavoratore e società; insomma, il precariato sportivo) e bassa innovazione: cazzo, sembra la descrizione dell'Italia. In realtà è un modello economico che caratterizza tutta l'Europa continentale e (udite udite) anche quegli anglosassoni degli inglesi! Prendiamo il calcio, per dirne una: ci sono un piccolo numero di club considerati "grandi" ed imbattibili dalla concorrenza (la filosofia del too big too fail finchè non perdi in casa col Cesena o con lo Stoke City): una sorta di oligopolio, vuoi perchè sono società che escono dalla nazionalizzazione, vuoi perchè la tradizione familiare è troppo forte, vuoi perchè le barriere d'ingresso sono troppo forti (considerando l'introduzione dei tornelli poi...). I migliori vanno sempre e solo dalle più ricche, e questo dominio dei pochi sui molti viene accentuato da ingaggi sempre più stellari, eventualmente con ricche "buonuscite" Profum-ate. Ma guardiamo i lati positivi: se non c'è attaccamento dei dipendenti alla maglia, c'è l'attaccamento della società al territorio (federalismo e quartierismo sportivo che si esprime in "solo la nebbia, avete solo la nebbiaaaaaa", "O vesuvio lavali col fuoco, o vesuvio lavali col fuocooooo" o, il più classico "inter merda alè").

Gli Stati Uniti invece guardali li, con la loro concorrenza costantemente portata a livelli estenuanti, dove tutte le società sono ricche (ma tanto ma tanto ricche) uguali, e per mantenere questo equilibrio ad ogni pre-stagione viene fatto il draft, ovvero la serata dove l'ultima della classifica dell'anno precedente ha il diritto di prelazione sul miglior giocatore universitario che deve passare al professionismo (pazzesco, quando Cleveland selezionò il già fenomeno Lebron James, era come dire che il miglior studente della Bocconi veniva assunto da Banca Popolare di Spoleto o da Filatura di Pollone s.p.a). Certo che le squadre americane sono proprio delle puttanacce e puntano solo al profitto, tanto che il trasferimento di una società da una città ad un altra non è impossibile, anzi. Però si spendono tanto anche dal punto di vista etico, come no! Loro non si abbassano a mettere gli sponsors sulle magliette: trasferire la squadra da Springfield ad Alberquerque (giusto per citare un esempio realmente accaduto) va bene, initolare il nome dello stadio alla Gillete, o alla Heinz, o alla FedEx, ma la scritta sulla maglia mai! Comunque, forte concorrenza e normative che rimescolano i capitali (umani e non) permettono alle squadre, a turno, di vincere qualcosa. Tra l'altro non è vero che solo i cervelli fuggono dall'Italia: i muscoli di Bargnani e Gallinari (Bellinelli a te non ti considero) dove li mettiamo, in stiva? Resta il fatto che anche i cari States sono bloccati nella R&D: basket, football e baseball il loro core business; ogni tanto un pò di diversificazione ma niente di che.

Ma chi va veramente forte in quest'ultimo lato dell'economia sportiva sono gli asiatici. Ebbene si, coloro che ci dilettano con le loro sfide impossibili: togliersi la sigaretta con una frusta, lotta a bastonate con i neon, spaccarsi le gionocchia sui trampoli. Insomma, in Asia vince: l'imprenditorialità individuale, l'alto rischio d'impresa e la perdita sicura della dignità umana. MA la sola ricerca e sviluppo non porta al successo: se l'idea è buona, e anche ammettendo di essere in grado di realizzarla, servono i capitali per venderla sul serio, anche a clienti diversi da quel manicomio che è il Giappone. Forse un giorno smetteremo di guardare 22 ragazzi inseguire un pallone per buttarlo in rete, ma dubito che sostituiremo quest'attività con lo spettacolo di un elefante che trascina un mucchio di occhi a mandorla in un sentiero pieno di cocci, vetri, rami pungenti e siringhe infette (per quanto, nel suo piccolo, sia davvero qualcosa di commuovente).

Dan Marinos

3 commenti:

  1. certo come la morte e le tasse e puntuale come il Natale, scrivo qui. Tanto per rispondere a "se c'è qualcuno batta un colpo".

    Sottotono per costruzione ma non per tema. Lo studente è bravo ma non si applica.

    Smetti di usare la parola "cazzo", non fa ridere se non hai 12 anni. Utilizza CACCA, che è meglio.

    Anonimo

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  2. ok, ti prometto che userò Cacca. Ma per par condicio userò anche Piscia.

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  3. Articolo interessante, apprezzabile l'attaccamento alle ideologie espresse dall'inizio del Suo mandato.

    Buone Feste

    On. Domenico Scilipoti

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