sabato 23 marzo 2013

State affamati, state pazzi, statemi bene - Messaggio ai laureandi



Una cosa che mi avrebbe gasato moltissimo, ai tempi della laurea triennale, era poter fare il discorso di chiusura di sessione: peccato che per essere selezionati bisognava aver ottenuto il voto e la media più alti tra i presenti in aula (genitori e parenti compresi?), ed io non possedevo né l’una né l’altra. Per la magistrale questa usanza non era prevista, e comunque nemmeno stavolta potevo sperarci. Da questo lunedì si concluderà l’anno accademico 2011-2012 con le ultime sessioni di laurea, a cui parteciperanno persone che ho conosciuto, che ho soltanto incrociato o che disgraziatamente leggono questo blog. A questo punto, visto che non posso aspettare che mi invitino a Stanford a pronunciare “state affamati, state pazzi, statte accuorti”, dedico queste righe a voi, futuri dottori.

Questo è il vostro ultimo weekend da pischelli irresponsabili, e molti di voi saranno chiusi in casa a domandarsi come impostare la discussione: quante slide fare? cosa scrivere? come far entrare tutta la tesi in un monologo da pochi minuti? Citando un’amica: “168 pagine in 10 minuti. Poi mando il mio CV alla Edizioni Bignami.”. Non disperate e pensate che anche i più grandi sono caduti in questa trappola. Mentana, per esempio, prima di ogni servizio lungo appena 180 secondi fa una premessa di mezz’ora in cui anticipa, descrive e trae le dovute conclusioni sull’argomento: poi vi chiedete perché Cairo ha comprato La7 per pochi spicci...

Se avete scritto una tesi con vostri modelli di regressione o sondaggi su campioni di consumatori, state tranquilli e in pace con voi stessi: il 97% delle tesi empiriche contiene dati bellamente inventati pur di ottenere una minima significatività statistica (il restante 4% non si preoccupa invece di sistemare gli errori, che tanto basta laurearsi). Se invece, non sapendo correlare neppure la temperatura dell’acqua con l’angolo di rotazione del rubinetto, avete scritto un trattato dove l’unica cifra presente sono i numeri di pagina (li avete messi, vero?), allora la questione della discussione si fa ancora più difficile: o sintetizzate tutto il lavoro, oppure vi focalizzate sul capitolo più interessante dopo una breve introduzione generale. Scegliete la strategia che preferite, tanto poi il relatore vi interromperà dopo 2 minuti, già annoiato.

Ad ogni modo, tenetevi pronti all’eventualità che un membro della commissione vi faccia una domanda andando a pescare argomenti collegati con la vostra tesi da associazioni assurde. A me è capitato: “Lei dice che in Germania i bilanci dei partiti sono strutturati più come quelli di un’impresa commerciale, mentre in Inghilterra sono semplici rendiconti di associazioni: secondo lei come mai accade questo strano fenomeno, considerando le differenze tra civil e common law?” che per me voleva dire: “Lei dice che la penna è blu: secondo lei è perché il castoro è rosso mentre giugno windows allegria?”.

Ora non voglio spaventarvi, e anzi continuate a ripetere il vostro bel discorsetto per settimana prossima. Il mio consiglio però è di tenervi anche dieci minuti in cui pensare all’ultima volta che siete entrati in università, al vostro primo giorno, alla vostra evoluzione. Io per esempio ho scoperto di aver percorso un cerchio: l’ultimo giorno da studente ho conosciuto una matricola arrogante e nerd che si spacciava per esperta di letteratura e che teneva a dirmi le sue impressioni circa un noto romanzo ottocentesco; ironia della sorte, è stato lo stesso discorso con cui ho stretto la prima amicizia in università. Voi invece potreste aver compiuto percorsi, secondo rette o arabeschi, passando da comunisti a capitalisti, da poeti a frequentatori dei Magazzini (al mercoledì che è gratis), dal “vado a vivere a Londra” a “ho trovato lavoro nel mio villaggio nel sud del Molise” e viceversa. Forse ancora avete pensato che la linea più breve esistente sono due punti adiacenti, per cui siete rimasti gli stessi beoti e le stesse divette del liceo e non chiedete che un pezzo di carta e di tornare sempre a casa per pranzo.

Auguro a nessuno di voi lettori di appartenere a quest’ultima categoria, perché vorrebbe dire che avete vissuto questi tre o cinque anni come semplice contesto, come scenografia di una stasi personale che poteva altrettanto efficacemente essere ambientata in un triste ufficio, in una tabaccheria o sopra una banchisa polare. Prego inoltre che non vi accorgiate mai, magari mentre cominciate a sillabare le prime frasi tipo “mam-ma”, “cac-ca” o “chi-e-de-re fe-ri-e”, di quale concentrato meraviglioso di esperienze e opportunità sia stata l’università; perché mentre per gli altri questo è un ricordo nostalgico e felice, per voi sarà un rimpianto frustrante.

Ma sto moralizzando su una categoria che per altro non esiste, e adesso è ora di andare. Mettete giù i pastelli a cera, sputate il pongo, lavatevi le mani e andate a laurearvi. E che l’obbiettivo sia per tutti lo stesso: laureatevi e vincete il superenalotto.

State affamati, state pazzi, statemi bene.

Dan Marinos


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