domenica 23 dicembre 2012

Il PIL mi violenta (ma forse è colpa mia)






Due settimane fa sono stato messo in crisi dalla rubrica Junior del Sole24Ore. Tutto per colpa di una semplice, secca domanda: “Cosa succede al PIL se un signore sposa la propria cuoca?”. Fabrizio Galimberti, autorevole giornalista economico (qui il pdf dell’articolo), spiega ai ragazzi che il prodotto interno lordo diminuisce se un lavoro, prima retribuito, diventa gratuito in quanto rientrante nella sfera delle mansioni casalinghe: “La ragione per cui il lavoro domestico svolto all’interno della famiglia viene escluso dal PIL è solo pratica: perché non c’è né un prezzo né un costo.” scrive Galimberti, continuando poi con un elenco di altri esempi che non ha fatto altro che aumentare la mia confusione: “Questo non è il solo ‘lavoro’ che viene escluso dal PIL. Anche tutta l’attività illegale, dai furti alle rapine in banca allo spaccio della droga alla prostituzione, viene esclusa dal calcolo del PIL. Anche qui per ragioni di convenienza: come si fa a calcolare le sette camicie che deve sudare il rapinatore per organizzare il colpo in banca?”. Leggendo queste frasi, la sensazione è stata quella di un vero e proprio mindfuck (l’Urban Dictionary descrive questa sensazione come: “il processo di stupro della propria intelligenza, mai anticipato da una pre-lubrificazione”), perché da un lato pensavo che il ragionamento avesse senso, e dall’altro ragionavo sulla diverse definizioni di PIL senza tuttavia trovare alcun supporto alla tesi di Galimberti. 

Prendiamo per esempio lo schema classico che i professori universitari utilizzano il primo giorno del corso di macroeconomia e adattiamolo alla domanda che mi ha tanto turbato; per fare questo, trasformeremo il nucleo familiare in una catena imprenditoriale con valore aggiunto. Supponiamo infatti che la titolare di una casa di piacere assuma un gigolò, che non sostiene alcun costo nel fornire il proprio servizio, essendo vitto e alloggio inclusi nello stipendio, che vale, per semplicità, 100€ l’anno (non ho intenzione di dibattere su questo dato, né di effettuare un indagine di mercato per rendere l’esempio più realistico). La matrona, grazie al servizio di questo suo uomo del piacere, riesce a fatturare 500€ l’anno. In uno scenario dove lo Stato non esiste, lo schema di creazione del valore diventerebbe così:



Veniamo ora alla triplice definizione di PIL, che può essere:

- il valore dei beni/servizi finali prodotti: 500€ ottenuti dal bordello.
-il valore del valore aggiunto generato: VA del gigolò + VA del bordello =(100€-0€)+(500€-100€)=500€
-il valore dei redditi generati nel processo: Y gigolò + Y matrona = 100€+400€=500€

Supponiamo ora che la matrona sposi il gigolò, il quale continua però a lavorare nel bordello (ipotesi realistica, visto il numero di pornodive sposate). La casa di piacere continua a guadagnare 500€, ma senza più alcun costo visto che la moglie non deve pagare uno stipendio al marito. Ma per questo motivo il PIL diminuisce? No, rimane invariato:

- il valore dei servizi finali offerti è sempre 500€
- il valore aggiunto è sempre 500€, stavolta generato in un processo con un solo step (500€-0)
-il valore dei redditi generati dal processo è sempre 500€ (al di là di come essi vengano distribuiti tra moglie e marito).

Galimberti offre poi un’ulteriore definizione di PIL, che poi non è altro che la solita formula della IS. Il PIL è uguale alla somma di consumi e investimenti, e forte di questa addizione sembra suggerire il seguente messaggio: “la matrona non consuma più per pagare l’avvenente tronchetto della felicità, dunque il PIL diminuisce”. Peccato che anche in questo caso il totem dell’amore penetri – senza carezze – tra i miei neuroni, i quali ricordavano che ciò che non si consuma viene risparmiato, e ciò che si risparmia diventa, per ipotesi, investimento (da cui l’acronimo “IS”), per cui sotto certe assumptions è indifferente quanto consumo o quanto risparmio: il PIL rimane uguale.

Data la semplicità di questi miei ragionamenti, che non tengono conto delle prospettive future, dei valori attesi, degli effetti sul mercato del lavoro né del livello dei prezzi, e soprattutto tenendo conto della mia insipienza macroeconomica, sono rimasto per giorni dubbioso sul fatto che fossi io a non capire, che fosse in qualche modo colpa mia. Insomma, mi sono sentito come una ragazza che "è andata a cercarsele vestendosi e truccandosi in modo così attraente, così da puttana". Per questo mi sono rivolto alla comunità (dei miei lettori), ponendo il dilemma sulla pagina di facebook. Le risposte pervenute sono state unanimi e confortanti:


David: “Dipende da cosa ne fai dei soldi risparmiati per pagare la domestica. Se lavori di meno (perché hai bisogno di meno soldi) allora, molto probabilmente, il PIL si abbasserà. Se, invece, continuerai a lavorare lo stesso ammontare di ore, l'andamento del PIL dipenderà da cosa farai con i soldi in più: se sposti denaro verso attività con un più alto valore aggiunto delle faccende domestiche (e ce ne sono molti, la quasi totalità) il PIL aumenterà. Tutto questo considerando i rapporti con l'estero invariati.”

Francesco:“ Il PIL forse no, il PNL sì (se la domestica non è italiana)! Ma la domanda seria è: che bevono al Sole per farsi certe domande?”

Luca: “oh mio dio che coglioni, ma non e' vero: che ci fa coi soldi che risparmia?”

Filippo: “Ha detto quasi tutto quello che c'era da dire David. Si può parlare poi del fatto che, se lavori e non paghi la colf, ma metti i soldi in banca, hai uno shift da C a I (ammesso e non concesso che S=I). Ma di questo si è già parlato altrove [...] L'economostro dovrebbe cambiare nome in "Forse-dovevo-fare-scienze-della-comunicazione....-mostro". Oppure l'Accountamonster, che è pure peggio.”


Se dunque la bellezza di una poesia non può rientrare nel PIL (alla faccia di Bob Kennedy) non si capisce perché non lo possa fare il lavoro domestico ma soprattutto, secondo Galimberti, lo spaccio di droga (che è a tutti gli effetti un processo imprenditoriale ed economico). A questo punto, l’unica ragione che mi viene in mente a supporto del giornalista è che i vari istituti di statistica non siano in grado o non vogliano deliberatamente misurare anche l’effetto sui redditi dell’importazione, distribuzione e consumo della cocaina. E’ perché il pusher o la prostituta non fatturano, né dichiarano il proprio reddito, né comunicano ai mercati il nuovo maxi-investimento in una raffineria d’oppio alle porte di Borgo Buzzone?
Possibile, ma a questo punto, se l’uomo sposa la propria domestica e la matrona il proprio gigolò, a calare non è il PIL esistente (per non dire “reale”, termine che confonde le idee) ma il PIL misurato.   



Dan Marinos

 
Invito chi ne sa più di me a partecipare alla discussione. In particolare invito i miei ex-professori, se mai avessi scritto stronzate, a non stracciarmi la laurea da poco conquistata. Inoltre, se mai si dovesse istituire un processo, si sappia che sono disposto a rendere noti alle autorità i cognomi di chi ha rilasciato le dichiarazioni sopra pubblicate.

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