Mi ero ripromesso di non scrivere per un po’ sui bilanci dei
partiti, visto che la tesi l’ho finita e durante la sua stesura il blog ne ha
risentito parecchio, venendo in parte trascurato e in parte monopolizzato
dall’argomento. Poi però è accaduto qualcosa che mi ha fatto andare il sangue
negli occhi ed eccomi qua a rinnegare quanto mi ero imposto.
Camera, stop ai controlli esterni sui bilancio, così
titolava il Corriere quattro giorni fa. Leggendo la notizia, ho pensato in un
primo momento di sacrificare me stesso a Montezuma, che il giorno prima avevo
giusto giusto consegnato in maniera irrevocabile la mia tesi sull’audit esterno
ai partiti. Poi, già col pugnale in mano, mi sono accorto che l’articolo faceva
riferimento al bilancio dei gruppi parlamentari, che sono cosa ben diversa dai
partiti. Purtroppo, proprio mentre mi accingevo a spegnere la sacra pira dove
avrei dovuto lanciarmi per suggellare il sacrifizio, su internet e sui giornali
divampavano altri roghi alimentati un po’ dal solito qualunquismo becero, un
po’ dall’innocenza del non conoscere la normativa in materia (visto per esempio
che della nuova legge 96/2012 quasi nessun giornale ne ha parlato). Risultato:
il caos e la rabbia cieca hanno impedito di riflettere su quanto veniva
proposto in Parlamento, e in particolare non sono stati analizzati
adeguatamente due punti particolari: i soggetti coinvolti e l’esatto
funzionamento degli strumenti di controllo tanto richiesti. Vediamo di chiarire
le cose, cominciando dai primi.
I proiettili vaganti dell’indignazione han colpito due
categorie di forze politiche: i partiti (divisi in sede nazionale e sezioni
regionali) e i gruppi (parlamentari o regionali). I primi sono associazioni non
riconosciute la cui contabilità è regolata da una legge ordinaria; l’ultima è
la già citata 96/2012, che tra l’altro impone il controllo esterno sui bilanci
delle sole sedi nazionali. I secondi invece sono elementi funzionali degli
organi legislativi dello Stato, ovvero il Parlamento e il Consiglio regionale;
generalmente rappresentano l’unione dei membri appartenenti al medesimo partito
politico (definizione comunque non completamente corretta, vista l’esistenza
del Gruppo Misto). Essendo parte del sistema legislativo, essi devono
sottostare ai regolamenti dell’organo di appartenenza e non alle leggi
“normali”, così come gli uffici interni di un’impresa si comportano nel
rispetto delle regole aziendali. Esistono dunque differenze evidenti tra
partiti e gruppi: da un lato ci sono enti autonomi determinati innanzitutto dal
codice civile, dall’altro ci sono alcuni componenti di diritto pubblico che,
assieme ad altre parti complementari (per esempio i Presidenti delle Camere, le
Commissioni, le Segreterie, gli uscieri e i portaborse...), sono ritenute
necessarie al funzionamento di un determinato organo statale.
Per quanto riguarda il secondo punto, ovvero la revisione
contabile esterna, bisogna subito definire l’obbiettivo della stessa. Ebbene,
NON è compito degli auditors quello di trovare le frodi né quello di
evidenziare uno spreco di denaro. A loro spetta invece verificare che i bilanci
siano stati scritti nel rispetto dei principi contabili stabiliti dalla legge.
Da questo punto di vista, sarà già difficile effettuare controlli al massimo
dell’efficienza sui bilanci dei partiti (o meglio, delle loro sedi nazionali),
visto che i principi contabili loro imposti sono pochi e nient’affatto
stringenti. I dubbi aumentano ancor di più riguardo al lavoro da svolgere sui
rendiconti dei gruppi parlamentari, i cui principi contabili non esistono
ancora e che, come per i partiti, non saranno dettati da enti professionali
come l’OIC ma dagli Uffici di Presidenza delle Camere (art. 15-ter del
potenziale nuovo regolamento).
La domanda principale è se sia davvero utile in questo caso
il controllo esterno. E’ per esempio necessaria la presenza di un auditor
affinché alcune parti della macchina statale non buttino nel cesso i soldi che
sono stati dati loro per le loro attività caratteristiche? A mio parere no,
perché se così fosse allora si dovrebbero applicare le stesse misure sui
rendiconti di altri organi come la Presidenza della Repubblica, il Consiglio
dei Ministri, la Corte dei Conti e il CSM. Si tenga in considerazione poi il
fatto che i gruppi sono parte di un’istituzione, il Parlamento, e che quindi sarebbe più sensato una
revisione sul bilancio di quest’ultimo, così come l’audit viene fatto sulla
totalità di un’azienda e non solo sull’ufficio riparazioni/ricambi.
Un’altra domanda importante è se i gruppi debbano ricevere
soldi dal Parlamento o dalla Regione. Questo discorso esula dal dibattito tra
finanziamento pubblico o privato, ma deriva dalla constatazione che per
svolgere l’attività di competenza dei gruppi è probabile che bastino gli
uffici, i servizi e il personale dipendente che gli organi statali rendono già
loro disponibili gratuitamente. Se mai fosse necessario denaro liquido,
dovrebbe a quel punto essere il partito di appartenenza a trasferire risorse, e
non lo Stato. Ed è qui che serve il controllo esterno, che non può limitarsi
alle sedi nazionali ma deve estendersi anche alle sezioni regionali, dove si
annidano pericoli ben più gravi del peculato (come nel caso di Penati).
Dan Marinos
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